Genova. “Abbiamo meditato per più di 50 giorni per arrivare a questa decisione, difficile, combattuta, surreale, ma a malincuore ci arrendiamo. Ci dispiace non poter più ospitare sul nostro palco tutti i nostri adorati artisti, ci dispiace non condividere più con voi sorrisi, aneddoti, brindisi, ma non abbiamo più le forze per continuare. Questo nemico invisibile ci ha distrutti, questo Stato invisibile ci ha distrutti, questa burocrazia ci ha distrutti”.
E’ questo il messaggio con cui Flavio Ciaranfi, gestore del locale A Ruménta, in via Dei Giustiniani, nel centro storico di Genova, alza bandiera bianca. Ed è forse la prima realtà nota,
legata all’ambito della movida cittadina, ad arrendersi alle difficoltà economiche dovute all’emergenza Coronavirus ma, soprattutto, all’assenza di prospettive.
Il locale, così come era strutturato, uno spazio cocktail e cibo oltre a un palcoscenico per artisti e spettacoli dal vivo, è nato nel 2014. Frequentato da giovani e meno giovani, era uno dei presidi del centro storico cittadino. Come portare avanti questo tipo di progetto per una realtà che si basa sull’aggregazione e non sul distanziamento?
Per non parlare degli investimenti che sarebbero necessari per continuare. “Non abbiamo più le forze, sostenere spese che non porterebbero nemmeno a garantirci i costi mensili considerate tutte quelle fino a oggi sostenute e che per ancora sei mesi se non più, in assenza di fatturato, dovremmo sostenere. Il nostro core-business è la musica, la nostra forza era l’unione delle persone!”
“Non vediamo obiettivi, prospettive, mezzi necessari che ci permettano di continuare, sinceramente non ci sentiamo moralmente convinti di indebitarci per pagare debiti – scrive Flavio, conosciuto come Fly – fino ad oggi abbiamo sentito tante promesse, ma bollette, spese, canoni li stiamo con onore saldando a fatica. Abbiamo combattuto contro il degrado del centro storico, mettendoci sempre la faccia e non avendo vergogna di esporci, ma, sempre per la burocrazia, pochi risultati, se non danni. Abbiamo sulle spalle innumerevoli denunce perché facevamo divertire la gente. Abbiamo avuto minacce di morte e diffamazione”.