Genova. Mentre tra i genovesi dopo un mese di lockdown (con altre tre in coda) aumentano i sintomi come insonnia, ansia ma per ora in termini ancora contenuti cresce l’allarme tra gli addetti ai lavori per le conseguenze psicologiche e psichiatriche dell’epidemia sui famigliari delle vittime del coronavirus.
Mogli, mariti, figli ma anche nipoti che non hanno potuto dare l’ultimo saluto al loro caro, che immediatamente dopo il ricovero non hanno più potuto vederlo nemmeno da lontano e che solo dai medici hanno saputo che era finito intubato in rianimazione o poi deceduto. Una separazione improvvisa e drammatica che solo in Liguria ha riguardato fino ad oggi oltre 700 famiglie.
“Manca completamente l’elaborazione del lutto – spiega Davide Prestia della clinica psichiatrica dell’ospedale San Martino di Genova – dovuta all’impossibilità di dare al proprio caro l’ultimo saluto attraverso il funerale che al di là della valenza religiosa o meno, sancisce proprio l’inizio della fase di elaborazione della perdita”.
La conseguenza saranno probabilmente tanti “lutti complicati, caratterizzati da ansia e depressione”. Alcuni casi sono già evidenti: “Sto seguendo alcuni parenti che mi hanno contattato, una di loro persone mi racconta di incubi costanti in cui la mamma è ancora viva. Su queste situazioni – spiega ancora il medico – si innesta una sorta di doppia sofferenza, da un lato quella per la perdita vera e propria, dall’altro quella di non aver potuto fare l’ultimo saluto, di non essere stati vicino alla persona cara, cosa che crea anche forti seppur ingiustificati sensi di colpa”.
Oltre alla prescrizione di terapie per gli stati d’ansia più gravi il consiglio è quello di “pensare di celebrare un rito funebre a emergenza terminata, anche se la salma già riposa in cimitero, creare un momento simbolico che sancisca la separazione e consenta a chi resta di andare avanti”.