Il personaggio

Calcio, il personaggio: Flavio Ferraro

Il tecnico racconta la sua idea del gioco del calcio

Ferraro

Cogoleto. “Allenatori, uomini che guidano altri uomini, l’ansia nascosta dietro alla panchina, il destino nei piedi dei loro giocatori”.

Il pensiero di Paolo Condò descrive perfettamente il ruolo dell’allenatore, che deve intraprendere una strada, tracciando un percorso, portando gioco, organizzazione, ma il tutto è vanificato se non trova la disponibilità dei giocatori, vero mister Ferraro?

“Verissimo e la bravura di un tecnico sta nel capire che gruppo ha a disposizione, adottando di seguito le giuste strategie per mettere gli atleti nelle condizioni di dare il meglio sia dal punto di vista umano che tecnico”.

Hai recentemente assunto la guida del Città di Cogoleto, quanto ti manca il non poter allenare un gruppo di ragazzi, che ti avevano dato tanta disponibilità umana e sportiva?

“E’ un vero peccato non aver potuto continuare il lavoro da poco intrapreso. L’ambiente mi ha accolto con grande disponibilità e rispetto. La società è stata, nella sua semplicità, straordinaria ed i giocatori mi hanno dato la massima disponibilità. Durante gli allenamenti hanno subito capito quando ci si poteva divertire e quando invece dovevano rimanere attenti e concentrati. Nell’ultima gara disputata, per ottantacinque minuti sono stati straordinari, mettendo in pratica quello che avevamo preparato e sono terribilmente dispiaciuto che una gara che meritavamo di vincere, si sia trasformata in pochi minuti, per chi non ha visto il match, in una sconfitta. Una vera ingiustizia, ma nel calcio chi vince ha sempre ragione, Mi ha fatto molto piacere la sportività di mister Cristiano Rossetti, che mi ha detto che meritavamo molto di più”.

Oggi si insegna che la sconfitta è la spia del fallimento, da evitare in tutti i modi e non un passaggio naturale e istruttivo per migliorare, cosa si dovrebbe fare, partendo dai settori giovanili?

“La sconfitta è sempre molto difficile da digerire, e non credo negli insuccessi salutari. La sconfitta, in tanti anni di panchina, non è stata fautrice di conseguente positive. Però è anche vero che bisogna saper perdere per imparare a vincere. Le sconfitte, esaminandole, possono aiutarti a non ripetere certi errori e questo vale anche per i calciatori. A livello di prime squadre  è rarissimo poter lavorare serenamente dopo una sconfitta. Se perdi non capisci niente e se ti ripeti magari ti cacciano. Nei settori giovanili, spesso l’ambizione dei tecnici e l’incompetenza di alcuni dirigenti, porta a dare più importanza al risultato, piuttosto che all’insegnamento. Poi a completare l’opera ci sono i genitori… spesso devastanti“.

Un gruppo che condivide un obiettivo comune, può raggiungere l’impossibile, quanto è importante, dall’alto della tua grande esperienza, maturata nel corso di una carriera irreprensibile, la forza, l’unità di intenti di uno spogliatoio coeso e granitico?

Il gruppo è fondamentale per perseguire e raggiungere gli obiettivi prefissati. Quando tutti remano nella stessa direzione, nascono energie inimmaginabili. Non sono d’accordo che quando si ha un grande gruppo, il merito sia solo del tecnico. L’allenatore ha buona parte del merito, ma per creare un gruppo coeso e vincente, un ruolo importante lo ricoprono la società e i giocatori. La responsabilità più grande del tecnico sta nella scelta dei giocatori. Quando ho avuto la possibiltà di creare la rosa dei giocatori, difficilmente ho fallito gli obiettivi, anche perché ho sempre preferito giocatori redenti piuttosto che illudermi di redimerli…“.

Pep Guardiola, descrivendo Johan Cruyff, amava dire: “Ci ha aperto un mondo affascinante, un film che abbiamo interiorizzato. L’ho paragonato al professore di una materia che ci piace, un maestro di cui non vedi l’ora che faccia lezione. Cruyff diceva tutto il contrario di quello che avevamo sentito per tutta la vita: ci dicevano che perdevamo perché non correvamo, ma un giorno arriva lui e ci spiega che perdiamo perché corriamo troppo”. Cosa pensi al riguardo?

“Cruyff è stato un mito, prima come giocatore e poi come tecnico. Io penso che la corsa, nel calcio, abbia sempre e comunque una grande importanza... l’importante è sapere come e dove correre durante la partita. Cruyff è stato un maestro, ma personalmente non posso dimenticare un innovatore come Arrigo Sacchi o grandi maestri come Nevio Scala e Alberto Zaccheroni“.

Nel salutare il nostro personaggio ci sovviene alla mente un pensiero di Jorge Valdano: “Nella partita che l’allenatore ha l’obbligo di immaginare, egli può scegliere se dare il pallone all’avversario o alla sua squadra. Tra una decisione e l’altra esiste una distanza grande almeno quanto quella tra la paura e la speranza”.

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