Emergenza

Coronavirus, in tutto il mondo è caccia alle mascherine: in Liguria tre aziende pronte a produrle

Ecco la strategia per diventare indipendenti dal Governo: grazie ai contatti diretti Genova-Cina sarà garantita la fornitura per un mese

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Genova. Fin da subito sono diventate simbolo dell’epidemia e adesso sono preziose come l’oro. Le mascherine, principale strumento di difesa per chi combatte in prima linea contro il coronavirus, sono merce rarissima ormai ovunque. E così, mentre la protezione civile italiana annaspa, la Liguria si sta organizzando per non far mancare ai propri medici, infermieri e operatori sanitari i dispositivi necessari per affrontare quella che negli ospedali definiscono “una situazione veramente emergenziale“.

“Diventeremo autosufficienti”, ha annunciato più volte il governatore Giovanni Toti. Già, ma come? La strada dell’indipendenza da Roma passa necessariamente dalla Cina, che ad oggi concentra la maggior parte della produzione mondiale, ma attraversa anche le due riviere prima di convergere al centro unico di raccolta allestito all’ospedale San Martino di Genova.

Le prime 50mila, donate dalla compagnia navale di stato cinese Cosco, erano rimaste bloccate alla dogana di Baku in Azerbaijan: superato l’inciampo, dovrebbero arrivare domani o dopodomani tramite l’aeroporto di Malpensa. Sempre domani a Livorno sbarcheranno circa 7mila delle 30mila mascherine sequestrate in Sardegna perché destinate al commercio privato, che attualmente è illegale per una specifica ordinanza del dipartimento di protezione civile. E poi, con la mediazione del gruppo genovese Giglio, nell’arco di un mese arriveranno sempre dalla Cina 700 mila mascherine di tipo FFP2, quelle che servono davvero a proteggersi dal contagio, e 250mila tute monouso. “In questo modo dovremmo avere autonomia almeno per 30-40 giorni, è un orizzonte discreto”, afferma l’assessore regionale Giacomo Giampedrone.

Quella delle mascherine ormai è una guerra spietata. In tutto il mondo i carichi vengono bloccati continuamente alle dogane e in Cina la produzione stessa è sotto il controllo del governo di Pechino. Perciò l’altra strategia è quella della produzione in loco. Almeno per le mascherine di tipo chirurgico, quelle verdi per intenderci, che non sono abbastanza filtranti da impedire a chi è sano di ammalarsi ma possono essere utilizzate dai visitatori negli ospedali, dai militi delle pubbliche assistenze e dal personale sanitario meno esposto al rischio. “Stiamo testando alcuni prototipi dei materiali – spiega Giampedrone – e appena la task force sanitaria li dichiarerà conformi daremo il via libera per poterle acquistare”.

Sono almeno tre le aziende che hanno inviato alla Regione un campione da analizzare. Una è la veleria Zaoli Sails di Sanremo, che negli scorsi giorni ha già donato un migliaio di esemplari all’ospedale locale e che in futuro, riadattando un tessuto nautico speciale, potrebbe estendere la fornitura a tutta la Liguria. In provincia di Genova c’è il consorzio Tassano di Casarza Ligure, una rete di cooperative che offre lavoro a persone svantaggiate e che tra le proprie produzioni annovera quella di filtri per auto e moto. Anche in questo caso, usando un particolare materiale filtrante, si potrebbero ricavare migliaia di mascherine chirurgiche “rinforzate”, non omologate ma comunque migliori rispetto alle soluzioni fai-da-te. Da Sarzana si è proposta la ditta Mulattieri, che si occupa di arredamenti per la nautica, pronta a convertire allo scopo una parte dei tessuti nei loro magazzini.

“Purtroppo queste mascherine non potranno mai essere certificate – osserva Salvatore Giuffrida, manager del San Martino che da venerdì si occupa di coordinare la distribuzione dei dpi in tutta la regione – ma andranno bene ad esempio per i visitatori, consentendoci di risparmiare quelle migliori per chi lavora in corsia“. Le mascherine verdi sono comunque utili per i pazienti contagiati e per i sospetti positivi perché fermano il cosiddetto droplet, le goccioline in sospensione che possono trasmettere il virus.

Insomma, l’obiettivo è tagliare per quanto possibile il cordone ombelicale con Roma, che sembra in una situazione di affanno difficilmente recuperabile in tempi brevi. Ieri a Genova sono arrivate dalla protezione civile nazionale 79mila mascherine. Di queste, 4.500 erano di tipo FFP2, altre 16mila erano chirurgiche di buona fattura, ben 59mila – la maggior parte – erano semplici strisce di stoffa monovelo con un cordino per agganciarle dietro l’orecchio: “Gli infermieri si rifiutano giustamente di usarle perché non servono a niente, penso che le butteremo via”, tuona Giampedrone.

Per dare un’idea del reale fabbisogno tra ospedali, ambulatori e pubbliche assistenze si stima che in Liguria un milione di mascherine verdi finisca in una ventina di giorni, mentre quotidianamente servono dalle 5 alle 7mila mascherine FFP2. A conti fatti la necessità supera le 55mila al giorno, che è poco meno di quanto il Governo ha inviato questa settimana. “Abbiamo difficoltà a capire cosa arriva e quando, non abbiamo un polmone, viviamo alla giornata“, denuncia Giuffrida. “Prima dell’emergenza solo al policlinico servivano 43.200 chirurgiche al mese, ora ce ne sono 65mila in tutta la Liguria. La situazione è veramente critica”.

In tutto ciò fioriscono ovviamente il mercato nero e le varie speculazioni. All’ingrosso le mascherine FFP2 costano circa 2 dollari al pezzo (la Liguria le ha comprate a questa cifra), ma si trovano fornitori che le commerciano a 20-30 dollari. Molti cercano comunque di guadagnarci. Ieri un’azienda dell’Imperiese ha contattato il San Martino promettendo la consegna di 10mila mascherine che in realtà erano ancora in Cina. “Siamo inondati di proposte di fornitori veri o presunti, è difficile distinguere. Abbiamo già scoperto sedicenti mediatori con la Cina che avevano diversi precedenti penali”, racconta Enrico Castanini, direttore generale di Liguria Digitale, scelto dalla Regione per coordinare gli acquisti anche in virtù della sua passata esperienza alla General Electric. “Noi da domenica pomeriggio funzioniamo da base logistica, ma siamo già intasati”.

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