Lettera al direttore

Lettera

Coronavirus, dalla scuola alla privacy: sfida globale o provocazione?

Coronavirus generica

Genova. Riceviamo e pubblichiamo la lettera-commento di un’insegnante di scuola primaria Oriana Micheleletti.

“L’anno 2020 è iniziato normalmente, con i soliti festeggiamenti previsti e a cui tutti siamo
affezionati. L’anno 2020 come ben sappiamo, ha però subito profonde modifiche nei popoli di tutto il
mondo e resterà nella storia dell’umanità. Per la prima volta da quando l’uomo abita il pianeta Terra, se non a nostra insaputa, è in corso una pandemia mondiale. Non è mia intenzione discutere i numeri di contagio o di decessi.

Voglio invece spostare l’attenzione sulle misure di sorveglianza che si stanno pian piano radicando nei territori, a cui ci avevano già timidamente avvicinato i vari governi di tutto il mondo. Cui prodest è la domanda che continua ad ossessionarmi da quando sono arrivate le prime notizie di una possibile pandemia.

Le aziende tecnologiche più sofisticate sono state investite dall’incarico, fino a pochi mesi fa sommerso, di individuare mezzi e modalità con la quale restituire dati di sicurezza sanitaria a tutta la popolazione mondiale. Sofisticate app da installare facilmente sul proprio telefonino. Quale il vantaggio? Monitorare minuto per minuto gli spostamenti di ognuno di noi e soprattutto individuare quali persone abbiamo avvicinato, incontrato volontariamente o meno, così da poter applicare protocolli di sicurezza per la nostra e l’altrui salute.

Chi non vorrebbe installare tale applicazione sul proprio device dopo più di un mese di quarantena, pur di muoversi “liberamente”? A voi le risposte.

Strettamente collegato al problema degli spostamenti è ovviamente la gestione della quarantena e di come occupare la mente in un prolungato e forzato domicilio per salvaguardare la propria salute. Molte sono le offerte che in questi giorni sono state proposte: dalle letture gratuite di ebook alla visione sempre più ricca e variegata di prodotti televisivi, per ogni fascia di età.

I luoghi di culto, le biblioteche, le librerie, i cinema e i teatri sono chiusi. Ma soprattutto sono chiuse le scuole. Dal 26 febbraio 2020 le scuole in Italia sono chiuse e non sappiamo quando verranno riaperte. Non sappiamo come si svolgerà l’esame di maturità o quando e se verranno organizzati i concorsi pubblici per l’assunzione del personale precario a sostegno di un organico che da anni soffre per il continuo reclutamento di personale supplente. Dal 26 febbraio 2020 le scuole sono chiuse e non sappiamo la reale percentuale di studenti e studentesse coinvolti nella didattica digitale, coloro i quali hanno la possibilità di connettersi con una connessione stabile e quanti invece cercano di svolgere lezioni e compiti on line attraverso il proprio telefonino.

E’ possibile? E’ possibile chiedere alle aziende di fornitura di un contratto wi-fi casalingo, quanti sono i clienti connessi? Certo e sarebbe anche semplice scoprire, tra i numeri, quanti sono quelli con figli in età scolare. Ma non ci stiamo muovendo in questa direzione. Il ministero, attraverso la sua ministra Azzolina, ha richiesto ai dirigenti scolastici il numero di studenti coinvolti, secondo loro.

Io sono docente di scuola primaria e vi assicuro che una cosa è connettersi per una videolezione di 30 minuti, svolgere gli esercizi e aspettarne la correzione, un’altra faccenda è quella di interagire con i compagni di scuola e gli insegnanti in un continuum e reciproco processo di crescita personale e non solo di crescita legata all’istruzione o alla mera didattica. Sono docente e noto che la dispersione scolastica è notevole nelle mie classi.

Specifico che praticamente tutti gli alunni sono connessi ma pochi di loro stanno veramente crescendo e arricchendo il loro capitale di informazioni poiché hanno rarissime opportunità per attuare tali informazioni e ancor meno possibilità di confronto con i coetanei.

Cui prodest? Lo scenario numero uno che si prospetta non è per nulla allettante. Al di là delle proiezioni economiche devastanti, aggiungo la terribile minaccia di una o più generazioni cresciute in un clima di terrore, con pochi e controllati incontri reali e molti ma altrettanto sorvegliati meeting virtuali. Lo scenario numero due, se vogliamo, è ancora più annichilente. Tra la percentuale di studenti connessi molti sono comunque incapaci di apprendere perché la modalità digitale non è adatta alla loro personalità: hanno bisogno del confronto reale e dell’interazione per farlo. I famosi compiti di realtà con i quali hanno sommerso i testi scolastici negli ultimissimi anni.

Lo scenario numero tre è addirittura apocalittico. Coloro i quali non sono connessi e quindi non usufruiscono di nessun tipo di istruzione, quanti sono? Se questa situazione si dovesse protrarre o piuttosto si dovesse ripetere, magari a distanza di sei mesi o un anno, quale sarebbe il futuro della scuola?

La propaganda odierna, il mantra di questo periodo, è dotare le scuole di ogni ordine e grado, della connessione a banda larga. Bene. Ma se gli studenti e le studentesse di ogni ordine e grado sono a casa, per comprovati motivi di sicurezza sanitaria, quanti di loro saranno in grado di accedere ad
un buon grado di istruzione negli anni a venire? Quante regioni in Italia e ancora, quanti Paesi nel mondo, potranno garantire un’istruzione alla propria popolazione?

L’equazione istruzione direttamente proporzionale al successo del singolo è sempre valida? Sta tramontando definitivamente il mito di Bill Gates e di Zuchemberg (si sono fatti da soli!) oppure sta emergendo una modalità sempre più selettiva per istruire la propria classe dirigente? Negli ultimi 20 anni circa, le politiche europee si sono spese nella prevenzione della dispersione scolastica, in indagini come EPIRLS per definire il numero di giovani capaci di leggere e interpretare un testo informativo, narrativo, documentale… Quanti saranno gli studenti e le studentesse che riusciranno a svolgere con profitto un compito INVALSI se continueremo a produrre didattica a distanza, magari con intermezzi di didattica sui banchi di scuola? Pochi, molto pochi.

E vi prego di considerare che già oggi, ovvero già nel 2019, ante COVID19, il numero di utenti svantaggiati a causa della scarsa o precaria conoscenza della lingua italiana, non era del tutto esiguo. Sommiamo quindi le difficoltà degli studenti stranieri presenti tra le fila dei banchi della scuola italiana e sommiamo il numero di studenti che quest’anno (chissà in futuro), avranno perso lezioni e possibilità di comprendere criticamente il mondo, di sviluppare quelle competenze tanto care alle politiche europee, di saper imparare, saper fare, saper continuare a imparare (long life learning).

Insomma lo scenario non è rassicurante. Allora bisogna muoversi velocemente cercando di contenere il GAP di connessione e stabilendo fin da ora quali sono le priorità politiche del ministero della pubblica istruzione. Se davvero la scuola è di tutti, ovvero è per tutti, allora bisogna fare in modo di applicare la nostra cara costituzione (art. 33 e 34) prevenendo ogni forma di abbandono scolastico e soprattutto evitando di crescere una generazione che non sarà in grado di leggere e comprendere la propria società per mancanza di istruzione. Altro che cittadinanza globale!”.

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