Genova. Tutti d’accordo, purché si rispettino le regole e si possa circolare in sicurezza. Il mezzo di trasporto? A libera scelta: bici muscolare o a pedalata assistita, monopattino elettrico, segway a due ruote o monoruota.
Stamattina a Genova è andato in scena il tour della mobilità dolce, una prova pratica per dimostrare che anche in una città in salita e carente di spazi ci si può muovere su strada senza inquinare. Oltre all’assessore Matteo Campora c’erano consiglieri comunali di opposti schieramenti: Sergio Gambino e Marta Brusoni per la maggioranza, Cristina Lodi, Gianni Crivello, Alberto Pandolfo, Mauro Avvenente e Claudio Villa per l’opposizione.
Un consenso bipartisan che spinge la giunta ad accelerare sulle piste ciclabili. “Dobbiamo recuperare il tempo perduto perché altre città negli ultimi 10-20 anni le hanno aumentate. Partiremo da via XX Settembre – conferma Campora – con un progetto ambizioso che illustreremo nei prossimi mesi. L’intenzione è rendere il centro più accogliente. Ma pensiamo anche alle delegazioni. La ciclabile sulla Valbisagno è già finanziata e partirà a breve, poi come sapete c’è la Super 11 Boccadasse-Fiumara, per finanziarla c’è spazio all’interno del bilancio”.
Più ciclabili, chiedono i fautori della mobilità green e slow, ma anche aree con limite di velocità a 30 km/h e maggiore integrazione col mezzo pubblico. Il giro di prova è partito dal Porto Antico, quindi via San Lorenzo, via XX Settembre, Brignole e di lì ancora in salita verso De Ferrari, palazzo Tursi e in ascensore fino a Castelletto.
“Con la pedalata assistita e gli impianti di risalita possiamo superare i dislivelli. Oggi non è vero che Genova non è una città adatta alla bici – spiega Tomaso Martino, uno degli organizzatori -. Se avremo strade sicure cambieremo modo di usare la strada”. Certo, le regole bisogna rispettarle tutti, ciclisti compresi. “Ci vuole anzitutto più buon senso da parte nostra – ammette Gino Repetto, un fan del monopattino elettrico – ma gli automobilisti devono imparare ad averci ‘tra le scatole’, non c’è ancora abbastanza cultura dell’educazione stradale”.