La recensione

Adriana Lecouvreur, una piacevole (ri)scoperta in scena al Teatro Carlo Felice fotogallery

L'opera è in scena sino a domenica 16 febbraio

adriana lecouvreur teatro carlo felice

Genova. Un’opera troppo poco rappresentata. Una piacevole scoperta per chi scrive (l’ultima rappresentazione a Genova risale al 1989, 13 con l’edizione 2020 in totale dalla prima in città nel 1903). Adriana Lecouvreur, in scena sino a domenica al Teatro Carlo Felice, è stata accolta da calorosi applausi dal pubblico non da tutto esaurito, presente alla prima.

Viene da domandarsi perché la riscoperta di un repertorio meno battuto non sia più frequente, pur nella consapevolezza che sono i titoli di grande richiamo a riempire il teatro. La missione di un’istituzione importante come il Teatro Carlo Felice è anche di divulgare cultura meno scontata e popolare, formando un pubblico curioso e attento (e il Carlo Felice in parte ci sta riuscendo grazie ai numerosi eventi collaterali) e speriamo che ciò avvenga nelle prossime stagioni.

Arrivando all’opera (per l’introduzione vi rimandiamo al nostro Lirica for Dummies), non si può non partire dall’allestimento, che trasla l’ambientazione dal Settecento ai primi del Novecento, associando la notorietà di Adriana Lecouvreur, attrice famosissima a Parigi, al divismo delle star del teatro di fine Ottocento che divennero protagoniste della nuova forma d’arte emergenze: il cinema.

Regia, costumi e scene sono di Ivan Stefanutti che ha scelto il contrasto tra il bianco e il nero come colori dominanti dell’opera, con un “coup de theatre” nel finale (guardare con attenzione il ritratto nel momento della morte di Adriana), quasi a sancire un passaggio epocale da cui non si torna più indietro.

Se Adriana è quasi sempre vestita di bianco, la rivale in amore, la principessa di Bouillon, è in nero e quando nel terzo atto le due si trovano di fronte vestite di scuro, il contrasto è sancito dai grossi ventagli di piume: bianco per la Bouillon, nero per Adriana.

I vestiti delle due donne sono sempre caratterizzati da lunghi strascichi che non hanno però precluso i movimenti in scena. Gli uomini invece indossano tutti il frac. Unica nota stonata: la poltrona di tipo Emmanuelle bianca, su cui è seduta Adriana all’ingresso in scena, risale, andando a rivedere la storia del design, agli anni Settanta del Novecento.

La trama, guardando l’opera, non appare complicata come nella sinossi, spesso le vicende sono più difficili da raccontare che da vedere in diretta.

Applausi per il direttore d’orchestra Valerio Galli, specialista delle opere di inizio Novecento, che ha padroneggiato e valorizzato la musica di Cilea. Rari i momenti in cui l’orchestra ha sovrastato le voci dei cantanti.

Ovazioni per il Michonnet di Devid Cecconi (baritono), il direttore della Comédie Française segretamente innamorato di Adriana: davvero impeccabile sia nel cantato sia nel recitato, mentre il tenore Marcelo Alvarez che ha interpretato Maurizio di Sassonia, l’uomo conteso tra le due rivali, ha dato l’impressione di voler mettere troppa enfasi nei frangenti in cui era richiesta potenza, risultando poco pulito. In crescendo la performance vocale della protagonista, Barbara Frittoli, che anche nel modo di muoversi, nell’uso delle braccia e delle mani, ha saputo costruire un’Adriana Lecouvreur convincente sia come attrice, sia nella sua fragilità di donna innamorata. Una “cattiva” coi fiocchi la principessa di Bouillon di Judit Kutasi. Tra i personaggi minori siamo stati colpiti dalla voce limpida dell’abate di Chazeuil Didier Pieri. Piacevole e senza sbavature la danza di Michele Albano, Ottavia Ancetti e Giancarla Malusardi.

 

 

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