Genova. Il caso della giovane ecuadoriana di Cornigliano uccisa da una meningite fulminante nella notte di Capodanno non è l’unico degli ultimi giorni a Genova. Lo scorso 29 dicembre Joshue Cedeño, un 25enne originario dello stesso paese e residente nello stesso quartiere è morto al Villa Scassi per una sepsi meningococcica risultata letale. La notizia, emersa solo oggi, è stata confermata dalla Asl. Appena quaranta giorni fa una 27enne italiana, Ilaria Caccia, aveva perso la vita nello stesso modo al San Martino. E ora cresce la preoccupazione per un possibile focolaio in città o in una zona specifica.
“Al momento non è possibile stabilire se esista una correlazione tra gli ultimi due casi – spiega Marta Caltabellotta, direttrice sanitaria della Asl 3 genovese -. Il servizio di igiene e sanità pubblica sta cercando di ricostruire i contatti più recenti della paziente deceduta al San Martino, ma per ora non siamo in grado di formulare ipotesi”.
La 36enne stava partecipando a un cenone con amici quando ha deciso di andare all’ospedale perché non si sentiva bene e aveva qualche linea di febbre. Giunta al pronto soccorso alle 21.30, nel giro di un’ora è stata colta da shock settico e già prima di mezzanotte non c’era più nulla da fare. “Il microorganismo provoca una reazione devastante – spiega Matteo Bassetti, direttore della clinica di malattie infettive al San Martino – per cui in pochissimo tempo si verifica una coagulazione intravascolare che distrugge gli organi interni, ai quali non arriva più sangue”.
Del tutto simile la fine del giovane connazionale morto tre giorni fa. Il 25enne, che abitava in via Piana a Cornigliano, era stato ricoverato con febbre e malessere generale in codice verde. La situazione è precipitata all’istante e dopo appena tre ore è stato dichiarato deceduto. Le analisi non hanno ancora individuato la tipologia del batterio, ma è molto probabile che si tratti di un meningococco C, lo stesso che ha stroncato la 36enne a Capodanno e che a novembre aveva contagiato la 27enne Ilaria Caccia, uccisa anche lei in brevissimo tempo al San Martino.
In entrambi i casi la Asl ha avviato la profilassi su parenti e amici più vicini. “È importante sottolineare che per contatto stretto si intende la condivisione dello stesso ambiente per almeno 8 ore – spiega Caltabellotta – deve esserci cioè lo scambio di particelle di saliva. Per intenderci non basta salire sull’autobus o passare vicino a una persona infetta per essere contagiati. Teniamo conto che il 20% delle persone è portatore sano di meningococco e l’infezione ha un’incidenza molto bassa rispetto alla diffusione del germe”.
Troppo presto, dunque, per parlare di focolai attivi o epidemia. “Ma tre casi in meno di due mesi devono comunque mettere in guardia – spiega Bassetti – visto che di solito se ne contano quattro o cinque in un anno intero”. Saranno i risultati dell’indagine condotta dalla Asl e dal reparto malattie infettive del San Martino a chiarire se i due ecuadoriani siano entrati in contatto tra loro. “Non vogliamo scatenare inutili allarmi. Il fatto che appartenessero alla stessa etnia e vivessero nello stesso quartiere può essere una semplice coincidenza”, spiega ancora la direttrice dell’azienda sanitaria.
“Non facciamo allarmismo – ribadisce Bassetti – non ha senso correre al pronto soccorso con 38 gradi di febbre. Si tratta di casi davvero sfortunati e rari. È impossibile accorgersene in tempo per intervenire”. Il meningococco di tipo C è coperto dal vaccino quadrivalente, oggi obbligatorio per i nuovi nati ma efficace anche in età adulta. “Il problema – conclude il medico del policlinico – è che una popolazione di bambini e adolescenti è più facile da intercettare. Avviare una campagna vaccinale su una parte più estesa della popolazione potrebbe avere un’efficacia ridotta. In ogni caso si tratta di decisioni di tipo politico”.