Genova. “Dentro di noi c’è molta rabbia. La gente che ha sbagliato deve essere rimossa, invece gli paghiamo lo stipendio. Non capisco perché il Comune continui a proteggerli. Bucci dovrebbe dare un segnale“. A otto anni dall’alluvione del Fereggiano il ricordo di chi non c’è più si mescola all’indignazione. Bernardo Sanfilippo il 4 novembre 2011 ha perso la moglie, Angela Chiaramonte.
Nell’occhio del ciclone oggi c’è Sandro Gambelli, all’epoca dei fatti disaster manager del Comune di Genova, attualmente dirigente dell’Università con permesso di distacco, ma in odore di assunzione. Per i parenti delle vittime, riuniti oggi a Marassi per la tradizionale commemorazione con le istituzioni davanti alla targa coi sei nomi, una ferita ancora più dolorosa.
“L’amministrazione in questi anni lo ha spostato da un ruolo all’altro, ma sempre con l’incarico di dirigente. In questo modo scappa da un procedimento disciplinare che dovrebbe concludersi entro il 15 dicembre. Lui scappa, ma chi lo fa scappare è il Comune di Genova”, si sfoga Marco Costa, il papà di Serena, che a 19 anni è stata travolta dal fango dopo essere andata a prendere il fratellino a scuola.
Gambelli è stato condannato in via definitiva a 2 anni e 10 mesi e ha dichiarato di aver redatto il verbale taroccato sull’esondazione del torrente. “È una grande ingiustizia. Il sindaco rinvia sempre le riunioni con noi familiari. Non capisco perché si voglia difendere questa persona che ha ammesso di aver fatto un illecito molto grave – prosegue Costa -. Ci sono state sei vittime, ricordiamoci della gravità di questo fatto. Non è una penna rubata dall’ufficio. Sei cittadini sono stati ammazzati da queste persone che hanno cercato di nascondere la verità”.
Ancora ferma la partita dei risarcimenti. L’assicurazione aveva detto di attendere il deposito delle motivazioni della sentenza di Cassazione, ma a distanza di mesi ancora non sono stati versati i massimali già riconosciuti dai giudici. “Sembra di andare al mercato, è una trafila ingiustificata. Andare a parlare di soldi non ci piace assolutamente. Non capiamo perché si aspetti ancora”, dice Marco Costa.
Davanti alla targa coi nomi delle vittime (Serena Costa, Evelina Pietranera, Angela Chiaramonte, Shpresa Djala con le piccole Gioia e Janissa) sono state deposte corone di fiori e alcuni disegni. Presenti il vicesindaco Stefano Balleari, il presidente del municipio Massimo Ferrante e il console dell’Albania Giuseppe Durazzo.
“Io mi auguro solo che nessuno provi il nostro dolore. Non passa mai, è sempre peggio“, racconta Yuri Djala, fratello di Flamur che oggi è in Albania e piange moglie e figlie. “È un dolore che si rinnova – ribadisce Costa – e per noi non cambia nulla a distanza di otto anni. Ogni volta che c’è un’allerta è una stretta in più che ci fa male. La vicenda giudiziaria purtroppo è ancora in piedi. L’unica cosa che ci fa sorridere è vedere che c’è molta più attenzione di prima, l’amministrazione dà più disposizioni con le allerte. Non bisogna mai stancarsi di questo, bisogna andare avanti”.