Genova. I titolari di ristoranti, bar e locali genovesi pagano una tassa sui rifiuti doppia rispetto alla media nazionale. Lo riporta Confcommercio nel suo Osservatorio tasse locali. I costi pesanti colpiscono, però, anche ortofrutta, fioristi e pescherie ovvero categorie che producono una siginificativa quantità di rifiuti. Si parla, ad esempio, di 41,98 euro a metro quadro pagati da una pizzeria genovese contro 19 pagati a Savona o i 20,47 della media italiana.
Secondo lo studio si conferma quindi il peso continuo della tassa sui rifiuti, nonostante una significativa riduzione nella produzione dei rifiuti stessi, e i divari di costo tra medesime categorie economiche, sempre a parità di condizioni e nella stessa provincia. Non sembrano pesare, almeno non abbastanza secondo l’associazione, le piccole riduzioni adottate dal Comune per alcune categorie.
“La nostra regione è ai primi posti a livello nazionale – dicono da Confcommercio Genova – Un triste primato che non avremmo mai voluto verificare e che pone i nostri imprenditori in una situazione di forte difficoltà”.
C’è poi anche un tema nazionale. Un dato ancor più preoccupante, per Confcommercio, quello registrato nell’ultimo anno, considerando che proprio il 2018 avrebbe dovuto rappresentare una svolta. Dal 1 gennaio 2018, infatti, i Comuni avrebbero dovuto avvalersi anche delle risultanze dei fabbisogni standard nella determinazione dei costi relativi al servizio di smaltimento dei rifiuti. (il riferimento è al comma 653 dell’art. 1 della Legge n. 147 del 2013).
Confcommercio chiede una revisione dell’intero sistema che rispetti il principio europeo “chi inquina paga” e tenga conto delle specificità di determinate attività economiche delle imprese al fine di prevedere esenzioni o agevolazioni per le aree che di fatto non producono alcun rifiuto e sulle quali invece continua ad essere calcolata integralmente la tassa. “Ma soprattutto servono azioni concrete affinché si limiti la libertà fino a ora concessa ai Comuni di poter determinare il costo dei piani finanziari includendo voci di costo improprie, come i costi del personale – proseguono dall’associazione – e soprattutto che vincoli gli enti locali al rispetto di norme di legge come quella che li obbliga a tenere conto dei fabbisogni”.