La recensione

Cavalleria Rusticana-Pagliacci: applausi alla prima in un Carlo Felice gremito fotogallery evento

Lo spettacolo si può vedere sino al 30 maggio

pagliacci

Genova. È piaciuto al pubblico il dittico verista Cavalleria Rusticana-Pagliacci che ha debuttato ieri, venerdì 24 maggio e resterà in scena sino al 30.

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Due titoli accomunati da sentimenti di passione e gelosia che sfociano in un epilogo tragico.

Il nuovo allestimento del Teatro Carlo Felice con la Fondazione Maggio Fiorentino ha affidato la regia a Teatrialchemici (Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi), che hanno optato per qualche soluzione anche non prevista dal libretto.

Le scelte registiche accomunano ancor di più i due titoli, ponendo al centro la piazza, rappresentata in questo caso come un anfiteatro a due scalini e che è il fulcro in cui avviene tutto. Vicende private raccontate in pubblico. Non siamo sui social network, ma solo perché all’epoca la tecnologia non lo consentiva. Due opere in cui le tradizioni e i riti quasi ancestrali, costellano la rappresentazione: a partire dal fuoco e dalla cenere, che caratterizzano l’inizio di Cavalleria Rusticana, sino ai bambini mascherati da diavoli.

Uno scenario in cui non manca la chiesa, vero e proprio punto di riferimento per un piccolo paesino come possono essere entrambi gli scenari del Sud, raccontati nelle due opere, ma in questo caso si capisce solo dall’architettura appena accennata di palazzo più alto rispetto agli altri e se ne ha certezza solo quando, una volta aperte le porte, si vede la croce luminosa all’interno. Pasqua in Cavalleria rusticana, Vespri in Pagliacci, due momenti che scandiscono la vita degli abitanti (un coro ben presente sulla scena in entrambi i titoli), prima che tutto precipiti.

Nel finale della Cavalleria, i due registi osano riportare in scena Alfio (non previsto nel libretto), dopo l’omicidio del rivale, con la camicia sporca di sangue, anziché lasciare all’immaginazione l’epilogo del duello finito male per Turiddu.

In Pagliacci il contorno è lo stesso, ma questa volta ci sono dei piccoli podi-palcoscenico per ogni personaggio. Qui ognuno ha una doppia faccia, come evidenzia bene l’abito di Canio (i costumi sono di Agnese Rabatti), con la maschera piazzata sulla nuca e il costume double face. Sempre nei costumi, ha colpito il total white di Lola (Giuseppina Punti), in Cavalleria Rusticana, in contrasto con il nero di Santuzza. Un contrasto totale anche nelle movenze e negli atteggiamenti delle due donne.

Alcune scelte sono spettacolari, ma meno facilmente leggibili da tutto il pubblico: se vi state chiedendo che cosa significasse, in Cavalleria Rusticana, quell’enorme telo bianco sollevato dalla vasca in cui era immerso, che si trasforma in elemento scenografico a tutti gli effetti, lo si capisce leggendo il libretto: si tratta delle bende di Cristo, un riferimento al tema della Passione, che ogni personaggio del dramma si trova ad affrontare.

Molto suggestivo anche il momento dell’intermezzo, sempre in Cavalleria Rusticana, in cui l’occhio luminoso andava lentamente a scendere sul palo di legno piantato in mezzo al palcoscenico, fermandosi, al termine della musica, su una delle maschere appese.

E i cantanti?

Applausi per tutti, ma in particolare per Sonia Ganassi-Santuzza e Gevork Hakobyan-Alfio in Cavalleria Rusticana e Carlos Alvarez-Tonio in Pagliacci. Addirittura è stato chiesto un bis, quando quest’ultimo ha dato il via all’opera nei panni del Prologo. Anche Diego Torre, già visto in occasione di Tosca, è stato apprezzato, nonostante l’imprecisione su “A 23 ore” in Pagliacci. In “Vesti la giubba” ha saputo comunicare tutto lo struggente messaggio sull’essere costretti a recitare le proprie disgrazie. In crescendo la Nedda di Donata d’Annunzio Lombardi, buona la performance di Francesco Verna-Silvio.

 

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