Genova. E’ nato come un diario, come uno sfogo, come un modo per andare avanti, e poi si è trasformato in un progetto collettivo, per raccontare la tragedia del ponte Morandi dal punto di vista di chi, fra coloro che sono ancora in vita, ne è stato ferito maggiormente, ovvero i familiari delle 43 vittime.
Benedetta Alciato, giovane biellese trapiantata da una decina di anni a Sestri Levante, è la cognata di Roberto Robbiano, morto insieme alla moglie Ersilia Piccinino e il figlio di 8 anni, Samuele. La storia della famiglia di Campomorone, distrutta in un colpo solo, è stata fra le più strazianti di quel 14 agosto.
Benedetta, che fa parte del comitato dei familiari delle vittime del Morandi, ha chiesto durante gli incontri e nei tanti scambi via chat se anche loro volessero contribuire a mettere nero su bianco un ricordo di quel giorno e un omaggio alla vita di quelle persone che non ci sono più. “Il libro – spiega l’ideatrice – sarà diviso in due parti, nella prima il racconto in prima persona, di ognuno di noi, di quel giorno, di dove eravamo, cosa stavamo facendo quando abbiamo avuto la notizia, quanto è stato difficile avere informazioni e così via, la seconda parte invece sarà una serie di piccole biografie dei nostri familiari, e cercherà di essere più allegra, leggera, una memoria positiva”.
Non tutti i parenti delle vittime di ponte Morandi hanno voluto partecipare alla stesura del libro, ma gran parte sì, qualcuno anche dall’estero. “Contattare tutti e spiegare il senso del progetto è stato un lavoro difficile – sottolinea Benedetta Alciato – ma in molti hanno capito, adesso il nostro obbiettivo è avere pronto il volume per il 14 agosto 2019, a un anno esatto di distanza”.
Benedetta, che a 34 anni lavora come receptionist, ha un fidanzato che la supporta in questo progetto (Roberto Robbiano era suo fratello) e adora scrivere (“ma di solito di tutt’altro argomento, mi occupo di raccontare storie di animali domestici”) oggi è impegnata a correggere bozze e mettere insieme parole. “Ma non le mie – riflette – il mio racconto è l’unico che ancora non riesco a rileggere”.