Genova. “Chi dice sempre no, proponga alternativa”, ha detto ieri il sindaco Marco Bucci, “l’alternativa è l’opzione zero”, è la risposta che si sta coagulando nei territori, e che sempre più spesso fa capolino nelle discussioni “social” sulla questione. Mezza città “in rivolta”, e mai come in passato unita sotto il ‘vessillo’ di un Ponente schiacciato tra servitù, impianti industriali e rischi ambientali.
Quello che bolle sotto il coperchio della annosa questione legato spostamento dei depositi dedicati ai prodotti petrolchimici di Multedo è una estesa e forse inedita alleanza delle varie comunità cittadine. Pra’, Cornigliano e Sampierdarena, ma anche Pegli e Voltri sono i quartieri che sarebbero direttamente interessati ad una ricollocazione degli impianti, e in questo caso il “non nel mio giardino” non vale più, perchè anche il giardino del vicino è “troppo vicino”.
Oltre 120 mila persone abitano il ponente genovese, e tutte le comunità si stanno organizzando per “dire no” ad una nuova dislocazione degli impianti Carmagnani e Superba. Sono numerose le iniziative promosse in città per parlare, discutere e preparare la “resistenza”, e sempre più trasversali. Per l’amministrazione non sarà una passeggiata, anche perché ogni quartiere ha “sponsor” istituzionali tra le file della maggioranza al governo in città, in regione e a Roma, tra consiglieri municipali, comunali, assessori e vice ministri. E sui social sono numerosi gli appelli all’unità, per evitare il “divide et impera”, da molti “letto” sotto traccia nel “gioco delle dichiarazioni” di questi giorni.
Tutte e tre le ipotesi ad oggi ancora sul tavolo scontentano qualcuno, chi più e chi meno, e sono in molti a mettere in dubbio la compatibilità con le normative sulla sicurezza che riguardano gli impianti industriali a “rischio di incidente rilevante”, come i deposito sono secondo la “Seveso III”.
A Sampierdarena, infatti, la nuova dislocazione andrebbe ad ampliare il già nutrito elenco di impianti Rir già presenti in loco, (i depositi Eni di Ponte Paleocapa – Calata Oli Minerali, quelli di Getoil S.r.L. a Calata Giaccone, Silomar di Ponte Etiopia e i i depositi della Esso di Calata Stefano Canzio) peraltro posizionati nel centro geografico del porto, e quindi della città. A Cornigliano si entrerebbe in conflitto con le esigenze di sicurezza dell’aeroporto, oltre che venire meno ai progetti di riqualificazione vecchi di anni, mentre a Pra’ un eventuale riempimento andrebbe a collidere con le esigenze del porto e le promesse fatte al territorio negli ultimi anni, anche dalla giunta oggi al governo della città (anche per bocca dello stesso Bucci, come avevamo scritto qui).
Per questo motivo circola in maniera sempre più insistente l’ipotesi zero, cioè l’idea di chiudere definitivamente quegli impianti: sono una sessantina i lavoratori, tra dirigenti e operai, che lavorano in complesso per le due aziende, mentre stando agli ultimi bilanci la ricaduta sul territorio, tra stipendi e indotto vario, si aggira sui 5,5 milioni di euro. Cifre che confrontate con la richiesta di sicurezza di 120 mila persone si sgonfiano ulteriormente.
“Perchè non lo costruiamo vicino alle riparazioni navali – chiede provocatoriamente un abitante di Pra’ sui social network – sotto Carignano, hanno anche già l’ospedale a due passi, nel caso. Ah no, ci abita il sindaco”. Questo l’umore che circola tra gli abitanti di quella mezza città che da sempre ha visto sacrificato il proprio territorio per il “benessere” della Superba. Mettiamoci comodi, ci sarà da divertirsi.