La recensione

Andy Warhol Superstar, sino al 27 gennaio alla Tosse, tre motivi per andarlo a vedere

Siamo andati a vedere lo spettacolo con Irene Serini e diretto da Laura Sicignano

andy warhol superstar

Genova. Un teschio d’argento in mano, un look con giacca e cravatta, e una frase: “Cos’è la vita? Ti ammali e muori, l’unica cosa da fare è tenersi occupati”. Irene Serini si presenta così sul palco del Teatro della Tosse per interpretare Andy Warhol Superstar, riproposto, dopo il successo dell’anno scorso, sino al 27 gennaio, alle 20.30 (domenica ore 18.30), per poi presentarlo a Milano al Teatro Litta dal 5 al 10 febbraio (ore 20.30, domenica 16.30).

Poco più di un’ora per assistere a un monologo ricchissimo di personaggi e spunti, che invogliano lo spettatore ad approfondire la biografia, la vicenda umana dell’artista al di là delle opere. Opere che non vedremo mai, neanche evocate, sul palco, nella scenografia funzionale disegnata da Emanuele Conte.

Ecco i tre motivi per andarlo a vedere.

Primo motivo – Irene Serini

Dedica anima e corpo a questo spettacolo, recitando dalla punta dei capelli sino a quella dei piedi. Riempie il palco con una presenza scenica che invade il pubblico. Si muove con sicurezza, corre, si agita. Una performer che avevamo già apprezzato in altri spettacoli. Sembra di esserci nella “Factory”, che accoglie personaggi stravaganti e in preda alle anfetamine. Interpreta tutti e nessuno, parla di Warhol in terza persona. Stupisce quando nel finale dà vita e voce alla madre (Júlia Justína Zavacká, slovacca) di Andy Warhol, illuminata solo da una lampada, seduta dentro una delle scatole della scenografia, terminando un viaggio a ritroso nel tempo, proprio con la nascita di colui che a modo suo farà la storia non solo dell’arte, ma della cultura e del costume occidentale.

Secondo motivo – il testo

Laura Sicignano, di Teatro Cargo (che coproduce lo spettacolo insieme alla Tosse), ha scritto testo (con Alessandra Vannucci) e curato la regia. Una pioggia di parole che investe chi ascolta, nella prima parte, con l’elenco di tutto ciò che Warhol ha comprato nella sua vita, l’artista che “Avrebbe voluto comprare anche se stesso”. Sono tante le frasi che restano in testa, in molti casi profetiche sulla società di oggi: “Fare tanti soldi è la migliore forma d’arte”; “E senza dubbio il nostro tempo preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere”; “Non c’è niente da dire su di me. Non sto dicendo niente in questo momento. Se volete sapere tutto su Andy Warhol, vi basta guardare la superficie: dei miei quadri, dei miei film e della mia persona. Dietro non c’è niente”; “Cosa espongo? Pubblicità”; “Alcuni critici hanno detto che sono il nulla in persona e questo non ha aiutato per niente il mio senso dell’esistenza. Poi mi sono reso conto che la stessa esistenza non è nulla, e mi sono sentito meglio”.

Terzo motivo – l’atmosfera

Sunday Morning dei Velvet Underground, che Warhol scoprì e produsse, ricorre durante lo spettacolo. La messa in scena però è anche caratterizzata da suoni elettronici e momenti visivi molto coinvolgenti.

Il punto debole

Una non-narrazione a 100 all’ora, come le feste nella Factory, rischia di non far cogliere completamente tutto ciò che viene espresso sul palco. Lo spettatore potrebbe esserne disorientato, oppure volerlo vedere un’altra volta.

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