Il report

Rapporto LiberaIdee: per i liguri la mafia è un fenomeno “marginale”, continua la sfiducia verso la politica

Il 40,7% degli intervistati non è a conoscenza di beni confiscati presenti sul territorio

beni confiscati

Genova. Una regione dove la mafia viene percepita come fenomeno marginale, o comunque non socialmente pericoloso. Una regione dove la corruzione è abbastanza diffusa nella percezione e nelle esperienze dei cittadini. Con una sfiducia soprattutto nei confronti di membri del governo e del Parlamento e dei partiti. E dove chi potrebbe o dovrebbe denunciarla ha paura delle conseguenze  o sfiducia nelle istituzioni. Una regione dove la politica viene vista come una sfera “altra” rispetto al proprio vissuto quotidiano, un tema sul quale ci si informa ma senza partecipazione diretta. Si riduce anche la tendenza all’associazionismo: circa un rispondente su due non aderisce ad alcuna associazione, mentre la maggior parte di chi si attiva su questo fronte dedica il suo tempo soltanto a una realtà associativa.

La fotografia sulla percezione e presenza delle mafie e della corruzione in Liguria è stata scattata da Libera, che questa mattina all’Università di Genova, ha presentato il rapporto LiberaIdee, una ricerca sociale su 420 questionari pari al 4,1 del campione nazionale. Alla presentazione, aperta dai saluti della Scuola di Scienze Sociali e del Dipartimento di Giurisprudenza, hanno partecipato Anna Canepa (Direzione nazionale antimafia), Sandro Sandulli (Direzione investigativa antimafia Genova), Alberto Vannucci (Università di Pisa) e Stefano Padovano (Criminologo Unige).

Il rapporto verrà inviato a tutti i sindaci, assessori e consiglieri comunali di tutti i Comuni liguri, oltre che al presidente della Regione, agli assessori e ai consiglieri regionali.

L’auto-collocazione politica dei rispondenti in Liguria mostra una prevalenza di coloro che non si riconoscono nella tradizionale ripartizione tra destra e sinistra (46,7%) a seguire coloro che si dichiarano appartenenti al centro-sinistra (40,7%). Emerge con forza una concezione della politica come di una sfera “altra” rispetto al proprio vissuto quotidiano, un tema sul quale ci si informa ma senza partecipazione diretta: soltanto il 13,6% dei rispondenti si ritiene politicamente impegnato, mentre il 51,7% dice di tenersi informato ma senza partecipare. Il 22,1% dichiara che la politica non gli interessa o che genera disgusto.

Circa un rispondente su due non aderisce ad alcuna associazione, mentre la maggior parte degli associati dedica il suo tempo soltanto a uno specifico gruppo. Tra questi, prevalgono quelli di volontariato sociale (37,4%), sportivi (36,5) e culturali (25,6%).

Il fenomeno mafioso è percepito dal 76,7% degli intervistati come un fenomeno globale. Guardando alla presenza sul territorio, i liguri intervistati considerano la mafia un fenomeno marginale (33,3%) o comunque non  socialmente pericoloso (24,5%). Appena tre intervistati su dieci considerano la mafia in Liguria preoccupante e socialmente pericolosa. Secondo i rispondenti, tra le attività principali della mafia in Liguria vi sono il traffico di stupefacenti (61,6%), la turbativa di appalti (29,1%) il lavoro irregolare (27,2%). Il controllo del gioco d’azzardo e delle sale gioco (16,7%) e lo sfruttamento della prostituzione (27%), meno diffusi nel campione nazionale, acquistano rilevanza in Liguria.

La percezione della diffusione della corruzione in Liguria, seppur alta, risulta leggermente più contenuta rispetto al campione nazionale. Sette intervistati su dieci ritengono la corruzione molto (16,2%) o abbastanza (53,6%) diffusa. Più convinti della limitata estensione del fenomeno sono i giovanissimi, tra i quali si concentrano anche coloro che ritengono di non saper valutare l’estensione delle pratiche corruttive. Il 30% circa del campione dichiara di conoscere personalmente o di aver conosciuto in passato qualcuno coinvolto in pratiche corruttive. Chi potrebbe o dovrebbe denunciarla ha paura delle conseguenze – 83,4% delle risposte – o ritiene corrotti anche gli interlocutori cui dovrebbe presentare la denuncia (34,9%), o pensa non succederebbe nulla (34,5%), o valuta la corruzione difficile da dimostrare (39,3%) o, ancora, ritiene la corruzione un fatto normale (18,8%).

È la sfera politica il principale bersaglio selettivo della sfiducia: il coinvolgimento nella corruzione viene considerato significativo nei confronti di membri del governo e del Parlamento (49,5%) e dei partiti (51%). Il distacco è evidente soprattutto nei confronti della politica più “distante”, basti pensare che la percentuale di sfiducia verso gli amministratori locali quasi si dimezza (26%). Mentre il settore degli appalti – con oltre il 40% – si conferma “area sensibile” al rischio corruzione, non ne sono immuni il mondo dell’imprenditoria (poco sotto il 30%) e della finanza (14,5%), e appena l’11,7% indirizza il proprio malcontento sugli impiegati pubblici in generali.

Quasi due rispondenti su tre ritengono che in Liguria vi sia la presenza di organizzazioni criminali di origine straniera con caratteristiche similari alle mafie tradizionali italiane. Consistente è anche la percentuale di coloro che non sono in grado di prendere posizione sul tema. Poco meno della metà dei rispondenti liguri afferma di non essere in grado di identificare esattamente l’origine dei gruppi mafiosi stranieri più diffusi nel territorio regionale. Tra coloro che rispondono in modo puntuale alla domanda, invece, prevale l’indicazione della mafia albanese (13,4%) e a seguire i gruppi nigeriani (11,8%) e cinesi (11,0%).

Circa sei intervistati su dieci sanno che i beni che sono stati confiscati vengono poi dati in uso per fini istituzionali o sociali. Di rimando è poco diffusa la conoscenza relativa ai beni confiscati sul territorio regionale: il 40,7% non è a conoscenza di beni confiscati presenti sul territorio. Coerentemente sono scarse le conoscenze dei progetti di riutilizzo dei beni confiscati attivi in Liguria (27,4%), mentre è alta la quota di coloro che non conoscono alcun progetto attivo in regione (44,8%). Per otto intervistati su dieci i beni confiscati rappresentano una risorsa per il territorio, capace di portare benefici all’intera comunità locale attraverso investimenti e progetti di riutilizzo. Minoritarie le posizioni di coloro che pongono in relazione il valore positivo dei beni confiscati alla possibilità di venderli per contribuire al bilancio pubblico (10,5%). Secondo i rispondenti dovrebbero essere destinati in misura prioritaria per luoghi pubblici di aggregazione e di educazione alla cittadinanza (25,7%) e a cooperative orientate all’inserimento lavorativo dei giovani (25,5%) e, a seguire, ad associazioni di volontariato (19,3%).

 

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