Genova. “Al di là delle parole che servono per tenere alto l’interesse generale sul problema e sulle soluzioni da trovare rapidamente, chiediamo a gran voce di aprire immediatamente un tavolo ad hoc con le istituzioni per dare risposte tangibili a tutti quei lavoratori, imprenditori e dipendenti, che operavano per quelle piccole imprese che con l’incasso giornaliero pagavano i fornitori e ci vivevano”. Questo l’appello di Uiltucs Liguria per affrontare la situazione difficilissima che si è creata dopo il crollo del ponte Morandi.
Occorre fare presto: “Dopo l’immane tragedia che ha colpito Genova, oltre a piangere i morti, restano le macerie. In queste settimane si è tanto parlato di come gestire un’emergenza inimmaginabile ma, per alcune situazioni, i tempi stanno per scadere. Diverse attività produttive di media o grande dimensione hanno la possibilità di sopravvivere per qualche mese, mentre le piccole attività produttive come bar, pizzerie, piccole trattorie, piccoli negozi di vicinato, artigiani, imprese di fornitura di servizi – gestite a livello familiare o con qualche dipendente – la vita sarà sicuramente più breve”.
L’imprenditore di una piccola impresa che opera nella zona rossa o nelle zone limitrofe ha la speranza di poter avere un indennizzo che porterà, per alcuni, a scegliere di chiudere per non riaprire più. Questa tipologia di attività, non solo coinvolge l’imprenditore e il suo nucleo familiare, ma anche i dipendenti che, vista la dimensione delle strutture, spesso è come uno di famiglia.
Il sindacato racconta una storia vera per far capire la situazione: “Questo è il caso di Francesco e Luisa (usiamo due nomi di fantasia) i quali si sono rivolti alla Uiltucs – nei giorni scorsi – per raccontarci, con le lacrime agli occhi, che la loro impresa operava nella zona rossa ed era condotta da un imprenditore vicino alla pensione. Con lui lavoravano la moglie e a cinque dipendenti. Francesco e Luisa si sono conosciuti nell’impresa e, dopo qualche anno, si sono sposati e oggi hanno due figli. Nei prossimi giorni l’impresa di Francesco e Luisa probabilmente verrà chiusa perché l’imprenditore non ha la forza per progettare un futuro. Nel dramma collettivo, i due lavoratori la pagheranno due volte perché si troveranno entrambi disoccupati con figli da allevare senza nessuna prospettiva. Purtroppo, per questi dipendenti, così per molte altre centinaia, non esistono strade diverse dal licenziamento; a loro spetta il Tfr, se l’impresa familiare negli anni è stata avveduta e l’ha accantonato, e al massimo 24 mesi di Naspi (ex indennità di disoccupazione), che non permette certo di poter mantenere una famiglia”.
Altro aspetto di cui si è parlato poco: “Così come un terremoto, le cui onde sismiche si propagano con intensità diversa in cerchi concentrici dall’epicentro, oltre alle imprese della zona rossa e di quelle limitrofe, esistono imprese di servizio – pulizie, manutenzione, fornitura di merce – che sviluppavano il loro fatturato con le attività che si trovano nella zona rossa. Per cui molte di loro stanno pagando, di riflesso, un caro prezzo su quanto accaduto pur non avendo la sede nella zona del disastro. Quindi il tavolo di emergenza per le piccole imprese dovrà avere l’acutezza di guardare oltre cercando di proporre velocemente al governo soluzioni ad hoc che permettano il superamento di questa fase che riteniamo, al di là delle tantissime parole, durerà qualche anno”.