Chi sono

Siri e Rixi, i “born in Genova” – gemelli diversi – per cui è pronto un posto da sottosegretario

In quota Lega, il "biografo" della flat tax e l'amico di Salvini, sempre più papabili al ministero di Economia e Mise. Per entrambi, una candidatura a sindaco di Genova e qualche guaio in tribunale

rixi siri

Genova. Due genovesi in lizza per occupare il ruolo di sottosegretari in altrettanti ministeri cruciali per il futuro del paese e della Liguria. Uno è Edoardo Rixi, 43 anni, neo-papà, esperto alpinista, ex assessore regionale allo Sviluppo economico, ex vicesegretario federale della Lega, fra i fedelissimi e amici di Matteo Salvini. L’altro, sempre in quota Lega, è Armando Siri, 46 anni, una figlia ormai maggiorenne, imprenditore e giornalista professionista, biografo della flat tax e filo teso a quel che resta, almeno, per ora, dell’alleanza tra Carroccio e Forza Italia. Per il primo il posto, quasi certo, è al Mise e quindi il suo superministro di riferimento (accorpando anche Lavoro e Welfare) sarebbe lo stesso Luigi Di Maio. Altra opzione: il ministero dei Trasporti, magari con la carica di viceministro con delega ai Porti che tanto piacerebbe al governatore Toti, ma si vedrà. Per il secondo, al ministero dell’Economia, retto da Giovanni Tria.

Oggi Rixi volerà a Roma dove si riuniscono le conferenze dei capigruppo di Camera e Senato per decidere a quando fissare il voto di fiducia per il nuovo governo. L’ipotesi è che Palazzo Madama voti martedì 5 e Montecitorio mercoledì 6 giugno. Dopodiché inizierà, ma in realtà è già iniziata, la consultazione del manuale Cencelli. Che no fa proprio “governo del cambiamento”, ma tant’è.

Per varare sottosegretari e viceministri della squadra di governo, il premier Conte dovrà quindi attendere ancora qualche giorno. Nella spartizione delle poltrone, al momento dovrebbero “toccare” al M5S, 5 viceministri e 20 sottosegretari, alla Lega 3 vice e 15 sottosegretari. Per i due born in Genova massima cautela e scaramanzia in queste ore, visto il precario equilibrio su cui si è strutturata la strategia politica in queste ultime settimane, ma le quotazioni parlano chiaro.

Rixi e Siri hanno molto in comune, oltre all’assonanza dei cognomi. Entrambi sono stati candidati sindaco a Genova, nel 2012. Il primo per la Lega, il secondo per il suo Pin, partito Italia nuova. Qualcuno ricorderà i manifesti elettorali di cui erano tappezzati gli autobus Amt: il programma era incentrato in modo bizzarro sulle manutenzioni delle strade. Sul proprio sito web, dove pubblicizza il suo libro sulla flat tax, si presenta così, in terza persona: “Da giovanissimo è stato attivista della gioventù socialista e poi amico personale e collaboratore di Bettino Craxi”. Ha lavorato per diversi anni come redattore per i canali Mediaset.

Rixi, proprio nel 2012, oltre a iniziare con le comunali che furono vinte da Marco Doria la lunga (ma neppure troppo) strada verso le preferenze a due cifre alle urne, rassegnava le dimissioni da vicesegretario, nei giorni in cui l’allora Lega Nord veniva sconquassata dalle inchieste e dagli scandali. Anche Rixi rappresenta, come Siri, un legame con Forza Italia. Nel 2015 – dopo essere stato candidato dalla Lega alle regionali liguri – si ritirò per lasciare spazio a Giovanni Toti. Una scelta che si rivelò vincente, e che “diede il la” a una delle più longeve e raffinate alleanze tra i due partiti a livello di amministrazioni locali. Oggi più traballante, visto il patto M5S-Lega? Si vedrà.

Passato e presente nei tribunali. Nonostante il noto giornalista Marco Travaglio abbia affermato che nella squadra di governo, per la prima volta, non ci sono persone che abbiano avuto problemi con la giustizia, non è così. Lo stesso vale per Armando Siri ed Edoardo Rixi.

Siri, eletto al Senato, ha patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta. Tre anni e mezzo fa un giudice ha accolto l’accordo tra accusa e difesa per il fallimento della MediaItalia, società che avrebbe lasciato debiti per oltre 1 milione di euro. Edoardo Rixi, invece, è tra i 19 ex consiglieri regionali imputati nel processo sulle cosiddette spese pazze in Regione Liguria. L’accusa: peculato per avere usato fondi pubblici per spese non istituzionali nella legislatura 2005-2010.

Entrambi avranno in mano materiale caldissimo per gli orizzonti del Paese, almeno fino a quando il governo legastellato durerà. La pressione fiscale, per famiglie e imprese, con il modello tassa piatta, potrebbe rilanciare o affossare definitivamente la delicata economia ligure. Sul fronte Sviluppo economico, la vicenda Ilva è una delle partite da mettere al sicuro, al più presto.

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