Genova. Tre creperie, un’altra attività di ristorazione, un autolavaggio, e un locale di scommesse sono stati sequestrati questa mattina dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria di Genova insieme al comando provinciale dei carabinieri in esecuzione di una misura cautelare e di sequestro patrimoniale nei confronti di Roberto Sechi, 52 anni, già condannato in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso nel 2006. Sechi al tempo era legato al clan Fiandaca e gestiva per loro un giro di scommesse abusiva tra tra lotto e totocalcio.
A Sechi in passato erano stati sequestrati e poi confiscati diversi beni tra cui due creperie in corso De Stefanis e in piazza Alimonda, note come creperie ‘Chicco’. Ma i locali non erano stati chiusi: come accade quasi sempre l’amministratore dei beni giudiziari aveva stipulato un contratto con una delle dipendenti dei locali al fine di preservare l’attività commerciale e i posti di lavoro. Peccato che – ed è quello che hanno scoperto i carabinieri coordinati dal colonnello Maurizio Panzironi – Sechi continuasse a gestire le attività e aprendone pure diverse altre.
L’indagine è partita nel giugno del 2016 quando i carabinieri del Nucleo investigativo di Lecce arrestano a Genova Rocco Falsaperla per una tentata estorsione commessa tempo prima a Nardò. L’uomo aveva trovato rifugio proprio a Genova in un appartamento sopra la creperia Crepes & Yogurt in via San Vincenzo dove lavorava in nero, una creperia aperta da poco a Sechi grazie a una prestanome, così come un altro locale in piazza Savonarola, il “Mikamale Crepe & Grill”, un autolavaggio in via Paggi a San Fruttuoso dove Sechi figurava come dipendente. Non solo, il 52enne è risultato anche finanziare e pagare le scommesse della sala GoldBet di via Casaregis.
Anche le creperie ‘Chicco’ di piazza Alimonda e di corso De Stefanis sono state nuovamente sequestrate, oltre a una grossa Golf e a una moto Bmw. In totale il sequestro ha un valore di circa 700 mila euro. Il reato ipotizzato per Sechi è al momento il 512 bis, vale a dire il trasferimento fraudolento di valori. “Si tratta di un tipico caso – spiegano il colonnello Panzironi e il colonnello Alberto Tersigni a capo del nucleo operativo dei carabinieri – in cui i mafiosi tentano di riappropriarsi dei beni confiscati attraverso prestanome puliti, cosa che si verifica tipicamente nel Sud Italia ma evidentemente questo sistema è arrivato anche a Genova”.
Con lui sono indagate anche 14 persone tra cui la moglie e altre due donne che hanno agito da prestanome. “Quest’indagine – spiega il procuratore aggiunto Francesco Pinto – è sintomatica per comprendere le difficoltà che hanno gli amministratori dei beni giudiziari che devono gestire i beni sequestrati ma spesso non hanno gli strumenti per controllare”.