Genova. La reazione era inevitabile? E c’è stata. Con qualche ora di riflessione. Il comitato organizzatore del Liguria Pride, la rete che nei mesi scorsi aveva chiesto e non ottenuto il patrocinio del Comune di Genova per il corteo previsto il 16 giugno e per la “colorata cena” in occasione della giornata mondiale contro la transfobia, ha detto la sua – con un lungo comunicato – sulla decisione del sindaco di Genova Marco Bucci di non prendere le distanze dall’iniziativa del suo consigliere delegato alla Protezione civile, Sergio Gambino, che il 29 aprile scorso ha partecipato con la fascia tricolore e in rappresentanza dell’amministrazione comunale a una cerimonia in onore dei caduti della Repubblica di Salò, quella che si batté per la sopravvivenza del fascismo.
Tutti ricordano il perché del no del sindaco al patrocinio per l’evento “pride”. “Non diamo sostegno a cose che possano essere divisive e offendere qualcuno”. Offensivi e divisivi a chi? Scrivono oggi dal Comitato Liguria Rainbow in una lettera che pubblichiamo integralmente.
“Eravamo abituati a pensare che il sindaco di tutti fosse una persona attenta al bene comune e alla collettività: abbiamo ormai capito che il sindaco è di tutti quelli che lo hanno votato, poco importa se rappresentano il 55% del 42% di elettori: hanno vinto e si prendono tutto. E’ venuto meno il principio democratico di garanzia di tutte le parti, sono venuti meno i riferimenti storici su cui si fonda la nostra democrazia, è venuta meno la politica: i vincitori rispondono solo ai propri sostenitori. Abbiamo voluto una modalità aziendale nella amministrazione della cosa pubblica? Ecco, il sindaco gestisce la città, non si rapporta con i cittadini; vuole rendere Genova una vetrina, poco importa l’orizzonte culturale e politico; rispetta il CdA dei propri azionisti e se i giornalisti gli chiedono di motivare le sue scelte cambia discorso in modo arrogante. Oggi era in scena la discussione sulla fascia tricolore a rendere onore ai morti della repubblica di Salò, semplicemente morti, poco importa se erano aguzzini, carnefici o complici dei nazisti, ieri era sul Liguria Pride, considerato offensivo e divisivo a causa di 400 commenti su facebook.
Cosa significa negare il patrocinio al Pride con la giustificazione che è offensivo e divisivo e mandare propri rappresentanti in fascia tricolore a commemorare i caduti di Salò, se non essere attenti alla pancia dell’elettorato che li ha premiati?
Oggi Tursi era presidiata, impossibile entrare nel Palazzo dei genovesi, perché le parti sociali infastidiscono se occupano gli spazi pubblici e se alzano la voce.
Il sindaco, indifferente allo spessore della storia e della memoria, ha pure confuso il significato di medaglia al valore militare… come se fosse antitetico al concetto di città medaglia d’oro alla Resistenza. Ricordiamo che la neonata Repubblica Italiana sentì “l’obbligo di segnalare come degni di pubblico onore gli autori di atti di eroismo militare”, ricompensando con delle decorazioni al valor militare, non solo i singoli combattenti, militari o partigiani, ma anche quelle istituzioni territoriali e non (città, comuni, regioni, università) a cui era stato riconosciuto un ruolo rilevante nella Guerra di Liberazione. Ad esempio la partigiana Lidia Menapace fu insignita del grado di sottotenente (da lei rifiutato in quanto pacifista) poiché “resité” (così scrisse il generale Alexander) come staffetta nelle formazioni della Val D’Ossola.
Ma a Bucci piacciono le frasi ad effetto, come quella che ci ha ripetuto come un mantra: “la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri”, citazione che potrebbe essere di Jean-Jacques Rousseau o di Martin Luther King, resta comunque una frase priva di ogni spessore concreto e razionale: come si può capire dove finisce la libertà dell’altro? Dove comincia la mia! Il riferimento è circolare e praticamente non si risolve. E non serve nel concreto delle relazioni sociali, dove vi sono conflitti, disuguaglianze e rapporti di potere diversi tra le persone (forti e deboli, privilegiati e sfavoriti, garantiti e precari…).
Questo sindaco risponde ai poteri forti della città, e quindi la frase ad effetto, logicamente inconsistente, si adatta alla perfezione al gioco della libertà e del rispetto, appunto un gioco perché a ben vedere chi non sta a cuore a questa giunta sono proprio i soggetti che ad oggi sono privi di libertà e rispetto. Il negato patrocinio fa saltare agli occhi senza ombra di dubbio che, a parte le mille parole che non hanno sostanza, la motivazione del diniego sia da ricercarsi proprio nell’argomento alla base della nostra comunicazione: l’omosessualità come variante naturale dell’essere umano.
Se questo, come riportatoci, offende qualcuno, dovrebbe essere preso come un problema dall’amministrazione locale, che ha il dovere di intervenire al fine di creare dialogo e rispetto, condizioni di convivenza e contenimento della intolleranza: invece sceglie di dare ascolto a chi vorrebbe rigettare nell’ombra la comunità Lgbt e i suoi sostenitori.
Chi è offeso dal Pride godrà comunque di buona salute, mentre stigma, bullismo, omofobia, possono portare a conseguenze drammatiche e violente. E questo per tanti non è un gioco o un vuoto mantra.
Sentendoci responsabili nei confronti di chi subisce ingiustizie, pregiudizi, discriminazioni meglio volgere lo sguardo altrove, lasciamo i Palazzi del potere di pochi e rivolgiamoci alla cittadinanza che vive nei territori, nei posti di lavoro, nella scuola e che necessita di ascolto e buone pratiche: chiediamo a loro il patrocinio, cioè supporto e solidarietà. Saranno bollini di legno, cartone, pezza, metallo… ma il loro valore per noi conta di più perché significa tessere relazioni, mutuo aiuto, scambiarsi risorse, intrecciare narrazioni e arricchirsi con le storie di vita degli altri/e”.