Genova. Ha chiesto il patteggiamento a un anno e 8 mesi di reclusione con pena sospesa il notaio Armando Salati, accusato di falso ideologico e di concorso esterno in associazione a delinquere nell’ambito dell’indagine sulle maxi truffe orchestrate dal re delle televendite Giuseppe D’Anna e della sua famiglia. Salati è accusato di falso ideologico per due episodi nonché di non aver segnalato all’UIC in base alla normativa antiriciclaggio circa sessanta costituzioni di società con capitali di provenienza sospetta.
Quando in un caso la famiglia D’Anna si rivolse invece a un notaio di Mantova la segnalazione partì immediatamente. Salati era anche stato sospeso dall’attività di notaio per 6 mesi. Sul patteggiamento deciderà il gup Claudio Siclari nell’udienza del 22 maggio. Se venisse accolto il patteggiamento concordato tra il legale di D’Anna Alessandro Storlenghi e il procuratore aggiunto Francesco Pinto per il notaio savonese non ci sarebbe nessuna conseguenza sulla professione a meno di un intervento disciplinare del consiglio nazionale del notariato. Il 22 marzo il gup deciderà anche in merito al giudizio abbreviato chiesto da una delle dipendenti dei D’Anna.
L’indagine. L’indagine, condotta dalla sezione di pg aliquota carabinieri della Procura di Genova, aveva portato il sostituto procuratore Emilio Gatti a chiedere il rinvio a giudizio per Giuseppe e Ruben D’Anna, i “re delle televendite” di gioielli finiti in carcere un anno fa. Con i due il pm aveva chiesto un analogo provvedimento per altre 14 persone. L’inchiesta dei carabinieri aveva scoperto che la famiglia D’Anna comprava monili scadenti in Asia e li rivendeva in tv spacciandoli per ottimi affari.
I militari avevano sequestrato 8 società, 7 gioiellerie e compro oro, 34 conti correnti, 16 immobili, 11 tra auto e moto, per un valore complessivo di 10 milioni di euro.
Secondo gli inquirenti, l’attività andava avanti da 35 anni, da quando negli anni 80 Giuseppe D’Anna cominciò a affacciarsi nel mondo delle televendite di preziosi, creando lentamente un grande giro d’affari. I militari erano arrivati a mettere insieme fino a cento denunce da tutta Italia. Con i soldi che guadagnavano con le televendite, secondo gli investigatori, aprivano anche compro oro dove potevano ricevere gioielli che poi avrebbero rivenduto in tv. I periti avevano stimato che il vero valore dei monili era il 30% in meno di quello con cui venivano venduti.