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Sversamento Fegino, oggi secondo “anniversario”. Tutto come prima, se non peggio

Gli unici a muoversi i cittadini, con una petizione. Ma la sponda istituzionale latita

Fegino, sversamento di petrolio nel torrente che si immette nel Polcevera: è allarme inquinamento
Foto d'archivio

Genova. Il 17 marzo 2016 una tubazione dell’oleodotto interrato che collega i depositi petroliferi di Fegino alla raffineria Iplom di Busalla “esplode”, sversando quasi 700 metri cubi di greggio prima nel rio Fegino, e poi nel Polcevera.

Il petrolio in poche ore arriverà fino al mare, nonostante l’intervento e la mobilitazione quasi nazionale della macchina dell’emergenza. Dopo qualche giorno dall’incidente la situazione sarà stabilizzata, in attesa di una bonifica che però non è mai incominciata.

Com’è noto, infatti, Iplom ha fatto ricorso al Tar, affermando come la competenza della “regia” delle operazioni di bonifica sia ministeriale, mentre il territorio chiede che rimanga in loco. Un ricorso che sta facendo slittare i tempi: recentemente la giunta ha chiesto all’azienda di ritirare il ricorso, ma da Busalla nessuno ha battuto un colpo. Oggi è tutto fermo.

Ma nel frattempo qualcosa, però, è successo: la contaminazione dei terreni non si è fermata e la popolazione ha continuato a “respirare” l’aria di un “disastro ambientale”, registrando e denunciando negli anni moltissime “giornate irrespirabili”.

L’unica cosa che si è mossa sono gli stessi abitanti: la mobilitazione post-incidente ha permesso la sottoscrizione di una petizione, redatta e promossa da Altra Liguria, rivolta alle autorità per far comprendere nella legge Seveso anche le infrastrutture di trasporto, vincolandole quindi a procedure di sicurezza rafforzate.

Procedure che prevederebbero anche la redazione di un Piano di Emergenza Esterna, il PEE, da parte della Prefettura, un documento che dispone tutte le eventuali misure protettive della popolazione e dell’ambiente in caso di incidente. Ma dal punto di vista della sicurezza tutto è ancora fermo: a marzo del 2017 il Consiglio comunale ha votato una impegnativa per il Comune di farsi promotore in sede governativa dell’allargamento di competenza dei PEE anche agli oleodotti, senza ad oggi un riscontro però tangibile. Lettera morta.

Nell’immediato post-evento era emerso, grazie ad un’inchiesta giornalistica, che quasi tutti gli impianti a rischi di incidente rilevante a Genova non erano provvisti di un PEE aggiornato (o addirittura redatto): nell’ultimo anno Prefettura di Genova ha quindi proceduto con le presentazioni pubbliche delle rilevazioni compiute per redigere questi documenti, come previsto dalla legge, attraverso assemblee pubbliche (assemblee che peraltro non sono state fatta ancora per tutti gli impianti) ma a due anni dal disastro e dalle “rivelazione” la situazione che siamo costretti a registrare è che nessun nuovo documento è stato pubblicato. “Come prima, più di prima, senza te”, come recitava la canzone.

Oggi si parla di spostare impianti o introdurne di nuovi in diverse parti della città, ma dal punto di vista della sicurezza questi due anni sembrano non essere trascorsi, anzi. Parafrasando una famosa frase che campeggia su un muro di Genova “I disastri ambientali sono quelle lezioni della storia che la politica non ricorda mai abbastanza”.

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