Genova. Inaugurata trentaquattro anni fa è un po’ il simbolo dell’edilizia popolare a Genova, metafora del concetto stesso di periferia. Per questo Ugo Roffi (insieme a Ludovica Schiaroli, Fabio Palli e Simona Tarzia) ha scelto di raccontarla e di raccontare chi alla diga ci abita. DigaVox, documentario autoprodotto dagli stessi autori racconta di chi spera di andarsene da Begato e di chi lotta per avere condizioni di vita migliori. Shakif, Alessandro, Anna, Mario, Jolanda sono le voci narranti della diga, dove fuori dagli appartamenti regnano degrado e abusivismo.
“Visto che i tempi di ristrutturazione delle abitazioni sono lentissimi le case vengono occupate – racconta Ugo Roffi – e il fatto che gli abusivi si allaccino alla corrente elettrica fa salire le spese di tutti. E ora anche Arte, che aveva un ufficio alla diga dove raccogliere le segnalazioni, ha abbandonato il quartiere”. Ma la diga è – volente o nolente – anche comunità con comitati attivi fin dalla sua nascita e che non si rassegnano a e continuano a lottare: chiedono dignità, rispetto e di non essere lasciati soli.
Due palazzi, la Diga Rossa, costruita per prima e la Diga Bianca: 19 piani ciascuna incastonati tra le colline, 3500 abitanti. Pochissimi esercizi commerciali: un discount, un bar, una farmacia, una tabaccheria. Questi i numeri della diga che ha dietro infine storia: “Nella diga bianca – racconta Roffi – ad un certo punto hanno cominciato a mettere tutti quelli che uscivano di prigione che hanno cominciato ad abitare negli appartamenti ancora liberi ai piani alti. Lì per evitare i controlli dei carabinieri hanno cominciato a spaccare gli ascensori in modo che i militari dovessero farsi a piedi quasi venti piani se volevano fare i controlli. Ma ad andarci di mezzo c’erano anche tutti i condomini”.
Quello che emerge da Digavox – che più che proporre soluziono fotografa l’esistente – è che la questione di Begato deve essere risolta da un punto di vista sociale, non solo urbanistico. La Diga non può diventare una polveriera, un concentrato di tutto il disagio sociale cittadino. Lo dice Gavino Lai, storico rappresentante dei comitati e lo ripetono Luca Borzani e l’architetto Roberto Bobbio.
Tra le interviste quella al farmacista del quartiere, diventato un po’ il punto di riferimento per segnalare problemi è difficoltà: da lui vengono convogliate anche per le raccolte alimentari destinate a chi ha difficoltà a far la spesa e che fornisce due elementi che danno il segno delle difficoltà: a Begato rispetto ad esempio alla vicina Bolzaneto il consumo di psicofarmaci, soprattutto da parte degli anziani, è nettamente più alto così come le malattie come il diabete sintomatiche di un’alimentazione poco equilibrata a causa delle difficoltà economiche.
Nel trailer già si notano alcune scelte stilistiche che danno il metro del documentario. Anzitutto le immagini di copertura, con le riprese della diga sono state fatte senza persone: “L’obiettivo spiega Roffi era un po’ quello di rendere a livello visivo la frattura tra la diga e chi la abita”. E poi la scelta di far intonare Summertime di George Gershwin alla soprano genovese Irene Cerboncini in uno dei pianerottoli della diga: “Potevano scegliere un gruppo rap locale ma ci piaceva l’idea di portare per una volta l’aulico dell’opera nelle case popolari”.