Genova. C’erano le minacce di morte e in un caso almeno anche le botte per chi non saldava il debito contratto nei confronti degli usurai. Intimidazioni ed estorsioni che per la dda di Genova e gli investigatori della squadra mobile caratterizzano appieno l’associazione di tipo mafioso, che si è mossa in libertà anni facendo affari tra gioco d’azzardo, droga e usura sopratutto tra Lavagna e Sestri levante.
Protagonisti principali di questa seconda tranche di inchiesta sono Francesco Antonio Rodà (che con il cugino Antonio detto ‘Totò’ e i fratelli Nucera è stato riconosciuto parte della ‘Locale’ della ’ndrangheta a Lavagna e per questo è ancora in carcere dopo l’arresto di giugno) e Paolo Paltrinieri che con i Rodà fa affari e gestisce società ma rispetto al quale il gip Carla Pastorini non ha riconosciuto l’aggravante di tipo mafioso.
In un caso, secondo la testimonianza di un imprenditore a cui Francesco Antonio Rodà aveva prestato denaro che era riuscito a restituire solo in parte, Paolo Paltrinieri lo avrebbe minacciato: “Ti faccio finire giù da un viadotto” e lo avrebbe preso a sberle fino a fargli volare via gli occhiali.
In un altro caso lo stesso Francesco “Ciccio” Rodà parlando con il padre di un’altra vittima di usura lo minaccia: “Devo mandarlo all’ospedale. Doveva venire martedì da me e lo sto ancora aspettando adesso, martedì non questo, quell’altro. Comunque io appena lo vedo io ci faccio male” dice in un’intercettazione ambientale registrata dallo Sco .
Rispetto all’imprenditore a amico di “Ciccio” Paolo Paltrinieri il gip, che pure ne esclude l’aggravante dell’associazione di stampo mafioso, lo definisce un soggetto violento e riconosce come “i comportamenti intimidatori, la comunanza di interessi e di frequentazione con Francesco Antonio Rodà, risultano essersi protratti ben oltre i fatti contestati” ricordando come le diverse parti offese, tutte ascoltate dalla squadra mobile dopo la prima ondata di arresti; avessero paura di loro “per la loro personalità, per il fatto di essere riconosciuti come soggetti pericolosi”.
In questa seconda ondata di arresti dopo quella di giugno, viene nuovamente colpito da misura anche Antonio Rodà, classe 1980. Il reato in questo caso è spaccio di sostanze stupefacenti per aver ceduto per lungo tempo cocaina a due imprenditori. Anche l’imprenditore albanese Alfred Remilli è finito in manette accusato di spaccio. Remilli tra i 2016 e il 2015 avrebbe venduto coca a un imprenditore tossicodipendente di Chiavari per 560 mila euro, al ritmo di al rimo di 20 grammi a settimana (circa 1500 euro alla volta). L’albanese avrebbe svolto quest’attività in parte in proprio in parte secondo l’accusa alle dipendenze di Francesco Antonio Rodà con cui a sua volta aveva contratto un debito che gli sarebbe stato chiesto di saldare proprio con l’attività di spaccio.
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