Genova. “Nel corso del dibattimento gli imputati Marta Vincenzi, Francesco Scidone e Gianfranco Delponte non hanno dimostrato nessuna compassione per le sofferenze provocate ai parenti delle vittime a causa dei comportamenti gravemente imprudenti e negligenti seguiti alle scelte da loro compiute nell’esercizio delle loro funzioni”.
Così il giudice Adriana Petri scrive nelle 599 pagine di motivazioni della sentenza di condanna dell’dell’ex sindaco di Genova Marta Vincenzi, dell’ex assessore Francesco Scidone e del dirigente comunale Gianfranco Delponte, condannati rispettivamente a 5 anni, quattro anni e nove mesi e quattro anni e cinque mesi nel processo per l’alluvione 2011 che è costata la vita a sei persone (Sphresa Djala e le figlie Gioia e Gianissa, Angela Chiaramonte, Evelina Pietranera, Serena Costa). “Scevri di ogni empatia“: così il giudice definisce i tre principali condannati.
“Nessuno di loro ha chiesto scusa alle parti civili né ha offerto somme di denaro, sia pure simboliche” va giù duro il giudice che rispetto all’ex sindaco ricorda come il giorno dell’esondazione del Fereggiano fosse preoccupata soltanto dei “ritorni di immagine per sé” con la partecipazione al convegno internazionale Eurocities che si svolgeva in quei giorni “mettendo in secondo piano l’interesse dei cittadini genovesi alla tutela dell’incolumità delle persone”.
“Gli imputati avendo sottovalutato la gravità dell’evento calamitoso atteso, hanno errato nel calibrare le misure di prevenzione, le hanno omesse e si sono fatti trovare impreparati all’emergenza” scrive il giudice e l’ex sindaco Vincenzi “o si è negligentemente distratto non comprendendo quanto il suo assessore le stata riferendo sulla gravita della situazione attesa (l’allerta 2) oppure ha compiuto una scelta mirata autoconvincendosi che quell’allerta 2 fosse una semplice allerta zero, assumendo così una decisione gravemente imprudente”.
Sulla mancata chiusura delle scuole, decisione prettamente ‘politica’ il giudice dice: “E’ indubitabile che se si fosse ricorso alla cautela, già in passato sperimentata di chiudere le scuole, almeno cinque delle sei vittime non sarebbero decedute in quelle specifiche circostanze di tempo e luogo”.
Ancora più duro il quadro immediatamente dopo il disastro: “Mentre la città era in ginocchio e i parenti disperatamente cercavano i dispersi, gli imputati si preoccupavano di predisporre una ricostruzione dei fatti non veritiera da propinare subito alla stampa”.
Cominciano subito a studiare il falso, rispetto al quale per il giudice Marta Vincenzi e Francesco Scidone sono “concorrenti morali” e Delponte, Cha (e Gambelli che confesserà il falso in fase di indagini) esecutori materiali: “Questo disegno veniva concepito dai quattro imputati (Vincenzi, Scidone, Delponte e Cha ndr) in concomitanza con l’arrivo della notizia del primo decesso, tanto è vero che l’imputata Vincenzi nel momento di lasciare il Matitone alla volta della Prefettura redarguiva i suoi alla ricerca del capro espiatorio su cui far ricadere la colpa”. Da un lato Delponte e Cha fanno circolare al Matitone la notizia accuratamente congegnata dell’onda di piena in soli 15 minuti mentre il volontario alle 12 aveva detto che era tutto a posto, dall’altro Scidone “prospettava al referente dei volontari Roberto Gabutti l’onta insopportabile che, se non si fosse adeguato alla loro versione, sarebbe ricaduta su tutto il volontariato”.
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