Genova. A ottobre saranno passati quattro anni dalla chiusura della centrale del latte di Fegino. Mesi di trattative, le manifestazioni dei lavoratori, i presidi con partiti e istituzioni servirono a poco. Il primo ottobre 2012 fu prodotta a Genova l’ultima bottiglia di latte Oro. Per i 63 dipendenti dello storico stabilimento la magra consolazione di due anni di cassa integrazione straordinaria, poi la mobilità, ma in una città difficile come Genova, ricollocarsi non è semplice e oggi 22 di loro non ha un lavoro.
Fra quelli che sono stati ricollocati solo 13 sono ancora dipendenti Parmalat impiegati negli stabilimenti di Parma, Bergamo, Verona e presso la Galbani di Pavia scegliendo o di fare il pendolare o di trasferirsi con la famiglia dicendo addio a Genova. Alcuni hanno trovato lavoro per le aziende private, altri stanno tentando di mettersi in proprio in 4 hanno raggiunto i contributi per la pensione o contano di riuscirsi a breve. Per 22 di loro invece sono lavori a tempo determinato o sono senza lavoro del tutto.
Così nei giorni in cui è esploso lo scandalo latte, è doveroso ricordare dove tutto è cominciato quando nessuno riuscì a convincere Parmalat a non chiudere lo stabilimento genovese. “Cresciuti a latte oro, uccisi da Parmalat” campeggiava sugli striscioni che potrebbero essere riutilizzati oggi dagli allevatori delle Valli genovesi.
“Spero che le istituzioni a partire dal Comune di Genova che disse un no secco all’ipotesi del centro commerciale, si ricordino di questi lavoratori” dice Luigi Ferrari, ex delegato della Centrale del latte, che oggi, non senza difficoltà, ha trovato un altro lavoro.
Le istituzioni non vollero cedere al ‘ricatto’ di Parmalat, pronto a vendere lo stabilimento ricollocando tutti i lavoratori se fosse stata cambiata la destinazione d’uso (c’era un interesse di Esselunga sulle aree), ma oggi quelle aree vendute lo scorso anno alla Arvigo Immobiliare dopo il naufragio del progetto di Confindustria di acquisirle come consorzio di imprese, sono vuote e in completo degrado.
Difficile a posteriori dire se una linea più dura (delle istituzioni, dei sindacati, della città?) avrebbe consentito di ottenere un risultato diverso, fatto sta che oggi mentre la rete si “infiamma” per il latte versato, è doveroso un passo indietro per ricordare quando il latte Genova lo ha perso per sempre.