Genova. “Sono talmente tanto sicura di non avere responsabilità in questa vicenda che ho chiesto di essere ammessa al rito abbreviato per arrivare a un pronunciamento nei tempi più rapidi possibili”. L’ex assessore alla protezione civile della giunta Burlando, oggi capogruppo del Pd in Regione, imputata di omicidio colposo e disastro colposo in seguito alla mancata allerta durante l’alluvione del 9 ottobre 2014, non perde la sicurezza di sé nemmeno dopo 4 ore e passa di interrogatorio. Interrogatorio chiesto da lei e dai suoi avvocati, Andrea Corradino e Fabio Sommovigo, proprio per “ribadire ancora una volta che io non avevano nessun potere di emanare l’allerta, una competenza che spettava ai tecnici”.
Paita quindi scarica ancora una volta la responsabilità sulla sua coimputata, la ex dirigente di protezione civile Gabriella Minervini (oggi non presente in aula) che ha scelto invece il rito ordinario. Il gup Ferdinando Baldini ha quindi deciso, per evitare possibili incompatibilità, di far marciare in parallelo i due processi: il 6 maggio discuteranno i pubblici ministeri Gabriella Dotto e Patrizia Ciccarese, il 6 giugno sarà la volta delle parti civili, e il 14 luglio parleranno i difensori di Paita e di Minervini. All’esito della discussione il gip deciderà contestualmente se assolvere o condannare Raffaella Paita e se rinviare a giudizio o meno per gli stessi reati Gabriella Minervini.
Minervini che, ha ribadito oggi Paita, “quella sera aveva il telefono spento e siamo riusciti a rintracciarla solo a notte fonda, mentre a coordinare la sala operativa della protezione civile c’era Stefano Vergante”. Proprio Vergante, però secondo alcuni difensori di parte civile, avrebbe in qualche modo negli interrogatori davanti alla polizia giudiziaria accusato Paita di avere un atteggiamento ansioso rispetto alla indagini. In particolare vengono riferiti due episodi: una telefonata che la segretaria di Paita Francesca Chella fa a Vergante il giorno che ha testimoniato davanti alla pg in cui gli viene ‘ordinato’ di andare a riferire a Paita stesso. E il giorno successivo, mentre Vergante stava proseguendo la sua audizione con in fase di indagini, riceve una seconda telefonata dalla Chella che lo invita a contattare un giornalista di Repubblica per un’intervista.
Paita però rinvia al mittente ogni accusa e chiarisce: “L’ho voluto vedere solo per sapere come stava dal punto di vista psicologico, visto che erano giorni difficili per tutte le persone coinvolte”. Ma è vero che non ha voluto vedere in ufficio ma in un corridoio? “Non mi ricordo dove ci siamo visti, ma non abbiamo parlato delle indagini. Volevo solo sapere se stava bene”. Vergante però riferisce l’episodio alla pg che sente anche in diretta la telefonata in cui si chiedeva l’intervista: “Voi giornalisti in quei giorni volevate avere giustamente notizie sulla situazione, e io semplicemente ho cercato di assecondare questa necessita di comunicazione. Poi è evidente che un tecnico può decidere parlare o no con la stampa”.