Genova. Nell’ambito dell’inchiesta bis sul crollo della Torre Piloti, sono stati interrogati ieri i due ingegneri, Bruno Ballerini e Paolo Grimaldi, indagati per omicidio colposo. Era stata la mamma di Giuseppe Tusa, una delle vittime del disastro, a chiedere al pm di indagare anche sulla struttura, sul suo posizionamento e sulle eventuali responsabilità di chi autorizzò la costruzione.
Ballerini, assistito dall’avvocato Carlo Biondi, firmò il progetto esecutivo, avendo ricevuto l’incarico come libero professionista dalla ditta appaltatrice. A entrambi, il pm ha contestato la localizzazione della Torre, troppo vicina allo spazio in cui le navi compiono le manovre, e il non avere adottato misure idonee per prevenire eventi eccezionali. Ballerini si è difeso sostenendo come non fosse sua “competenza la scelta della localizzazione. Il progetto mi arrivò con tutte le approvazioni degli enti preposti e con tutti i pareri favorevoli”.
Il pm ha anche chiesto come mai l’ingegnere rilasciò una intervista al Solo 24 Ore, alcuni giorni dopo la tragedia, in cui affermava che il posto scelto per la Torre era “un luogo totalmente sbagliato”. “Era una dichiarazione riferita al profilo urbanistico, non alla sicurezza. Io l’avevo immaginata in Darsena, dove ci sarebbe stato più spazio per i parcheggi dei dipendenti, insomma un posto più comodo. Ma non mi riferivo alla sicurezza della struttura”.
Grimaldi, invece, era stato ingegnere capo dell’Autorità Portuale e firmò il progetto preliminare della struttura. “La Torre – ha spiegato al pm – era stata costruita secondo le norme dell’epoca e la viabilità marittima di quegli anni, quando il traffico era inferiore, le navi più piccole e le manovre delle imbarcazioni solo di un tipo”.
A breve sarà la Capitaneria di Porto ad essere coinvolta nell’inchiesta bis sulla tragedia di Molo Giano, che provocò la morte di nove persone.
“Mi dicevano che ero matta e devastata dal dolore perché cercavo la verità invece di chiudere gli occhi davanti alle evidenze – dichiara Adele Chiello Tusa – non ci volevano tre anni per tentare di arrivarci. Ancora ci sono davanti tante battaglie perché cercheranno di scaricarsi le responsabilità a vicenda”.
“Hanno cercato di plagiarmi in un momento così fragile e vulnerabile per una madre che ha perso un figlio, farmi sentire anche in colpa, ma io ho semplicemente condotto la linea che mio figlio Giuseppe ha sempre sostenuto dalla tenera età di solo 10. A quell’età affermava chiaramente che tutti abbiamo diritto ad una giustizia uguale per tutti. Lo stesso documento che lui ha stilato lo afferma – conclude – Io aggiungo che la giustizia non deve fare sconti a nessuno, sopratutto ai potenti del nostro paese”.