Savona. “Abbiamo perso di vista la palla, si direbbe nel tennis. Qui ci sono incomprensioni e malintesi di fondo“. Così Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, vicesegretario nazionale e responsabile di trasporti e infrastrutture del Pd, ha affrontato il tema della riforma dei porti, chiudendo la lunga mattinata in Sala Rossa del Comune di Savona. Serracchiani ha spiegato in maniera approfondita la riforma, chiarendo i vantaggi che potrà apportare e spiegando i motivi per i quali è nata.
“Mi sento responsabile per questa riforma dei porti – ha detto -: c’è un lavoro che parte da lontano; abbiamo lavorato e preso contributi da tutte le Autorità portuali. Un lavoro che dura da due anni. Questa riforma dei porti è pronta da troppo tempo, ma sapete che è cambiato il Ministro. Ora siamo in dirittura d’arrivo”.
Una riforma che nasce dalle esigenze di una maggiore competitività dell’intera Europa. “Non facciamo conti su teu o simili. Siamo sulla strada giusta ma se la mettiamo nel contesto nel quale operiamo: siamo europei, quindi prima di tutto guardiamo all’Europa. I grandi corridoi europei devono partire dai porti: l’Italia ha comunicato di averne 55. Un Paese che non fa scelte è in grave difficoltà; abbiamo dovuto fare delle scelte. Le infrastrutture le abbiamo, ma dobbiamo rammendarle: tra di loro sono sconnesse. All’Italia serviva un grande piano strategico: rimettere insieme i pezzi per capire dove vanno realizzate le opere. Dovremmo spendere oltre 10 miliardi di euro per sistemare tutti i porti; meno di uno è cantierabile”.
Serracchiani ha chiarito anche la figura dell’Autorità portuale, secondo il suo punto di vista. “Vogliamo parlare di crescita? Partiamo dai porti: sono determinanti. Hanno troppi problemi che non li rendono competitivi, tra cui una burocrazia folle. Le Autorità portuali italiani, all’interno delle dinamiche europee, sono un’anomalia: sono una cosa particolare che abbiamo soltanto noi. Penso che l’Autorità portuale non debba essere un pezzo della pubblica amministrazione, ma un manager competitivo che sa quello che fa, qual è il suo ruolo”.
“Annessione e fusione sono termini al di fuori di questa riforma – ha precisato -. C’è un’autorità del sistema portuale che viene dal Ministro, individuato per competenze e capacità. Presso tutti i porti rimane la direzione di scalo portuale: quindi le dinamiche locali vengono gestite a Savona, non a Genova. Si è parlato di campanilismo: il campanile resterà in piedi. Qual è il principio secondo il quale Genova trascina a sé Savona? Da un altro punto di vista può essere il contrario. Questo decreto attuativo, dopo due anni, verrà rivisto alla luce del controllo dei traffici. Quello che stiamo facendo è solo lo step di partenza. I porti devono essere messi insieme per migliorarne l’efficienza, ma ciascuno con la sua autonomia locale“.
“Credo che questa riforma risponda appieno alle esigenze di competitività che dobbiamo recuperare, insieme a traffici ed investimenti. Se lasceremo le cose come stanno conteremo morti e feriti. Per cambiare ci vuole coraggio; c’è la necessità che ognuno svolga il suo ruolo fino in fondo e si accettino sfide che sono molto più grandi di noi. Il locale deve continuare ad avere la possibilità di dire la propria; la politica, però, deve smettere di invadere i porti. Abbiamo bisogno di una politica buona – ha concluso – che controlli che ognuno svolga il proprio ruolo”.