Genova. “Non parlate con nessuno e fatevi i fatti vostri”. Lo avrebbero detto i tre giovani genovesi arrestati sabato notte con l’accusa di tentato omicidio per il pestaggio avvenuto a bordo del bus della linea 1 a Caricamento la notte del 14 luglio alle due ragazze che facevano parte del gruppo.
Secondo quanto raccontato da una di loro, anche lei solo 19 enne, sarebbero stati i maschi ad aggredire il barista 44 enne e il suo amico inglese come reazione a un commento all’amica. Per la Procura, che le ha indagate a piede libero, anche le ragazze sarebbero responsabili di tentato omicidio in concorso anche perché sia il testimone inglese sia la vittima (quest’ultimo indirettamente parlando con la fidanzata prima di finire in coma per un ematoma cerebrale) dicono invece che anche le ragazze hanno attivamente partecipato al pestaggio.
Ed è proprio dall’interrogatorio, avvenuta la settimana scorsa nella caserma di San Giuliano, di una delle due ragazze, la cui presenza sul luogo dell’aggressione viene dimostrata dall’analisi delle celle telefoniche e incrociata con i due video a disposizione degli investigatori che le indagini subiscono un’accelerata insperata dopo che per un mese e mezzo i carabinieri della Compagnia Centro guidati dal comandante Marco Comparato, hanno analizzato migliaia di dati contenuti nei tabulati telefonici e convocato decine di persone. La ragazzina, messa sotto pressione, ammette tutto e consente l’individuazione degli altri membri del gruppo.
Sono cinque, tutti tra i 18 e i 20 anni. Quattro di loro sono amici da tempo, mentre il quinto, che all’epoca dei fatti era ancora minorenne, si aggrega per la serata. Sono figli di famiglie senza particolare disagio, i genitori sono pasticceri, cuochi, impiegati. Famiglie come tante e i ragazzi sono incensurati. Non studiano e non lavorano, certo, ma non sembrerebbero appartenere a ciò che oggi viene definita una ‘baby gang’. Sulla causa scatenante il terribile pestaggio gli investigatori sono cauti: la ragazza, unica finora formalmente interrogata alla presenza di un avvocato, avrebbe genericamente parlato di un apprezzamento alla sua amica che avrebbe scatenato la violenza. Ma il barista avrebbe detto alla fidanzata di essere stato etichettato come gay durante il pestaggio ed è probabile che se l’omofobia non è stata la causa scatenante, sia stata comunque un elemento che ha fatto scatenare la violenza. Anche uno degli arrestati avvrebbe ammesso con i carabinieri di aver picchiato il barista insieme agli altri e aggiungend che “era truccato come un frocio”.
Il pestaggio, come era già emerso in fase di indagini, avviene in due tempi. La prima a borso del bus, fermo e con le luci accese in attesa di partire. Poi prima gli aggressori e poi gli aggrediti scendono e per ragioni ancora da chiarire i tre ragazzi ripartono in direzione del barista e del suo amico. E’ il primo ad avere la peggio: finisce a terra e viene riempito di calci in testa.
Alla seconda fase, che si svolge un po’ più a ponente rispetto al capolinea, in corrispondenza del primo attraversamento pedonale di via Gramsci assiste anche un piantone dei carabinieri, di guardia alla stazione della Maddalena. Secondo quanto appreso il militare, insospettito dalle urla che sente in strada si affaccia dal palazzo dove ha sede la stazione e vede qualcuno a terra preso a calci da un gruppo di persone. Rientra per telefonare all’operativo ma quando torna a vedere non c’è più nessuno: vittima e aggressori sono scomparsi.
Come noto, il barista insieme all’amico tornano a casa in taxi. Il 44 enne si recherà in ospedale solo una settimana dopo e la denuncia per il pestaggio verrà fatta solo il 23 luglio dalla madre, perché il barista nel frattempo è in coma e non può più raccontare alcunché.
Gli aggressori tornano alle loro case, tutte nel ponente tra Sestri, Sampierdarena e San Teodoro. La paura scatta solo quando l’aggressione viene riportata da siti e giornali e ripresa da diverse trasmissioni televisive. Allora gli indagati si incontrano, e i maschi dicono senza mezzi termini alle ragazze di non provare a dire una parola. Una di loro confessa alla sorella maggiore di aver fatto parte del gruppo e lei le consiglia di andare immediatamente alla polizia: “E’ una cosa più grande di te” le dice. Ma la ragazzina niente. Ha troppa paura e forse comincia solo allora a rendersi conto della gravità di quanto accaduto.
Su una cosa aggressori e aggrediti sono assolutamente d’accordo. Durante la prima fase del pestaggio, quello avvenuto sul bus, l’autista resta immobile al suo posto di guida. L’uomo, 33 anni, resta indagato per favoreggiamento e le testimonianze concordi sembrano al momento aggravare la sua posizione. Il sostituto procuratore Vittorio Ranieri Miniati non l’ha ancora interrogato anche perché a questo punto la sua testimonianza non è più necessaria per l’identificazione degli aggressori. Domani il pm si recherà nel carcere di Marassi per interrogare uno degli arrestati nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Il secondo si svolgerà nel carcere di San Vittore da parte di un gip milanese. Interrogatorio a parte sarà quello del minorenne, che si trova nel centro di prima accoglienza di via Frugoni.
A breve sarà disposta la perizia medico legale sulla vittima, che si trova tuttora ricoverato in un centro di riabilitazione alla Spezia. Poi l’amico inglese sarà chiamato probabilmente attraverso un incidente probatorio al riconoscimento degli aggressori che comunque, al momento dell’arresto, avrebbero fatto tutti delle ammissioni rispetto a quanto accaduto. E anche se il pm al momento non ha contestato loro l’aggravante omofoba, su cui le indagini proseguono, rischiano almeno 7 anni di carcere.