L'inchiesta

Tirreno Power: le “pressioni” di Burlando e Minervini e i contatti tra azienda e Ministero

cronaca

Savona. Gli indagati nell’inchiesta sulla centrale a carbone di Vado Ligure sono ottantasei, ma, ovviamente, i ruoli e le responsabilità attribuiti a ciascuno di loro dagli inquirenti sono differenti.

C’è chi avrebbe avuto ruoli di primo piano e chi invece è coinvolto solo marginalmente nella vicenda Tirreno Power. Tra i primi, secondo il procuratore Francantonio Granero e il sostituto Chiara Maria Paolucci, ci sono, oltre ad alcuni dirigenti dell’azienda, anche l’ex presidente della Regione Claudio Burlando, il direttore del Dipartimento Ambiente della Regione Gabriella Minervini, ma anche i sindaci che negli anni si sono succeduti nell’amministrazione di Quiliano e Vado (Nicola Isetta, Alberto Ferrando, Carlo Giacobbe e Attilio Caviglia)

Se agli amministratori locali viene imputato in particolare, in qualità di autorità sanitarie locali, di non aver applicato gli strumenti normativi a loro disposizione (ordinanze e prescrizioni precise relative al monitoraggio della qualità dell’aria) per tutelare la salute dei cittadini, a Burlando e Minervini viene attribuito un ruolo più attivo nella vicenda.

Per quanto riguarda Burlando, in relazione al reato di abuso d’ufficio, la Procura gli contesta, in presenza di un danno ambientale da lui stesso definito “colossale” (nelle carte è citata proprio un’intervista rilasciata ad IVG.it nel luglio del 2011), una serie di condotte illecite. In primis avrebbe condotto “in prima persona la ‘trattativa’ nella complessa strategia condotta per anni da Tirreno Power, finalizzata a legittimare dal punto di vista delle necessarie autorizzazioni, il mantenimento in funzione, nello stato in cui si trovavano, dei vecchi gruppi a carbone VL3 e VL4, economicamente molto redditizi, che non avrebbero mai potuto essere autorizzati, così com’erano, nell’ambito di una autonoma procedura di AIA”.

I pm contestano anche a Burlando di essere stato consapevole “per conoscenza diretta almeno dal 21 novembre 2009, del disinteresse concreto della società, al di là dell’uso strumentale fattone, per la realizzazione del gruppo VL6” e di aver esercitato “una forte pressione sui Sindaci dei comuni sede dell’impianto (contrari ‘politicamente’ e pubblicamente all’ampliamento ed alla stessa esistenza della Centrale, anche se avevano sempre omesso i provvedimenti autoritativi di loro competenza)” rinnovando l’invito “a partecipare ora alla gestione e al controllo del progetto”.

Altrettanto attivo, per quanto emerge dalle carte, sarebbe stato anche il ruolo di Gabriella Minervini che avrebbe “omesso di disporre i controlli sull’adempimento delle prescrizioni” imposti dal Ministero dell’Ambiente nel 2001. E ancora avrebbe attestato, “attraverso artifici formali, e quindi in maniera sostanzialmente e coscientemente falsa o, in ogni caso, non vera”, l’avvenuto adempimento di alcune prescrizioni solo “per corrispondere ad uno specifico interesse di Tirreno Power, sia per il rilascio della VIA sia ai fini dell’autorizzazione MISE alla costruzione del nuovo gruppo a carbone VL6“.

Contestazioni che si riferiscono al periodo precedente al sequestro dei due gruppi a carbone, ma le accuse della Procura a Gabriella Minervini riguardano anche gli ultimi mesi quando “con l’incitamento e l’avvallo del presidente della Giunta Regionale (Burlando) risultante da numerose telefonate e conversazioni intercettate e dell’assessore Guccinelli” si adoperava perché “i componenti dell’Osservatorio si pronunciassero contro la validità delle conclusioni scientifiche della consulenza disposta dal pubblico ministero”. A questo punto il dirigente allora avrebbe esercitato “una rilevante pressione nei confronti dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro” attraverso Paolo Bruzzi e Franco Merlo chiedendo “l’elaborazione di un documento di critica alla consulenza ben orientato a minimizzare gli effetti delle ricadute emissive della centrale”.

E si legge nelle carte: “L’analisi era così frettolosa ed ‘orientata’ che il Merlo, davanti al pubblico ministero, avrebbe dovuto riconoscere che senza leggere l’intera consulenza, aveva confuso l’utilizzo del SO2, utilizzato soltanto come ‘tracciante’ e non come inquinante nell’analisi tecnica, col che sarebbe venuta meno una delle critiche fondamentali formulate, dimostratasi priva delle benché minima validità scientifica”.

Tanto che il documento in questione “contenente un nutrito elenco di spunti critici alle consulenze del pubblico ministero, poi ampiamente smentiti — tutti — dallo stesso Merlo in sede di audizione davanti al pm” non era stato sottoscritto dagli estensori che “consapevoli della sua inconsistenza scientifica” lo consideravano “solo una sorta di appunto (come avrebbe precisato il direttore Bruzzi, mentre il Merlo lo avrebbe definito ‘infausto’) da fornire a Gabriella Minervini come pezza d’appoggio per l’uso che la medesima intendesse farne”.

Anche l’assessore Renzo Guccinelli (a differenza degli altri componenti della Giunta Regionale, così come di quelle provinciale e comunali, tirati in ballo, di fatto, perché hanno firmato le delibere pro-centrale) si sarebbe interessato in prima persona per “farsi portatore e tramite degli interessi aziendali in tutte le sedi” come risulta dalle intercettazioni telefoniche.

Infine dalle carte saltano fuori i contatti tra il direttore generale di Tirreno Power Massimiliano Salvi e il direttore generale del ministero dell’Ambiente Mariano Grillo. Sarebbero stati proprio loro a portare avanti il progetto di “chiudere il rinnovo anticipato dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) attraverso una nuova e diversa richiesta di AIA che non contemplasse più la costruzione del gruppo VL6”.

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