Storie blucerchiate

“Album dei ricordi blucerchiati”: Jorge Toro, dalle Ande all’Appennino Ligure

Colonna della nazionale cilena

Jorge Toro

Genova. La foto è sbiadita, quasi avvolta da una leggera foschia, ma non nella mente dello “stagionato” tifoso, che ci invita ad inserirla nel nostro album dei ricordi blucerchiati: “Quando guardo in tv le miriadi di trasmissioni di calciomercato, ma anche quando navigo in internet, alla ricerca di notizie su eventuali nuovi acquisti della Sampdoria, mi vedo in un ‘caruggiu’ di Arenzano, con il Tuttosport in mano a leggere la notizia del giorno: ‘Toro, che con Landa è stato uno dei migliori giocatori del Cile, è un giocatore della Sampdoria’.

Che goduria – continua il nostro amico -, la stessa provata ogni qualvolta è stato annunciato un calciatore importante… non importa se, poi, rivelatosi un flop… in estate sono tutti campioni… eppure Jorge Toro era forte davvero, non capisco come non abbia sfondato in Italia… ricordo ancora una partita, a Marassi, contro il Milan, che vinse da solo… col braccio rotto al collo”.

Dice il vero, l’attempato supporter… non sempre chi arriva dall’estero, carico di gloria, riesce a sfondare anche nel calcio italiano, da sempre molto tattico e con mister che raramente lasciano spazio alla fantasia del giocatori… di esempi, nella Samp stessa, ce ne sono a bizzeffe, a partire dai vetusti Vujadin Boškov e Todor Veselinović (miti del Vojvodina e della Jugoslavia), da Maryan Wisniewski (33 volte nazionale transalpino), Dante Mircoli (una Coppa Libertadores vinta ed una finale Intercontinentale persa contro l’Ajax di Johan Cruijff), per non parlare di Aleksej Mychajlyčenko, di Paulo Silas (nazionale verde-oro ai Mondiali dell’86 e ’90), “Des” Walker (59 presenze con la nazionale inglese), François Osmam-Biyik (63 partite nel Camerun), Doriva (riserva di Dunga ai Mondiali in Francia del ’98), Atsushi Yanagisawa (58 partite col Giappone), Matías Nicolás Rodríguez (una Coppa Sudamericana e tre campionati cileni)… bastano come esempi di giocatori “di livello”, che non sono riusciti ad integrarsi?

Sicuramente la globalizzazione, dei tempi moderni, ha facilitato i successivi ambientamenti, rispetto alla metà del 20°secolo, quando si attraversava l’oceano a bordo di “grandi navi bianche a vapore”…

Toro fu acquistato dal Colo Colo, dopo i Mondiali ’62, dove l’Italia, nonostante una rosa fra le migliori mai presentate a quella che allora si chiamava Coppa Rimet, venne eliminata proprio dai cileni, dopo una partita, passata alla storia come la “battaglia di Santiago”, in cui gli azzurri furono non solo picchiati dal Leonel Sánchez (l’azzurro Humberto Maschio rimase groggy, a far numero in campo, col naso fratturato), ma anche vessati dall’arbitro inglese Ken Aston (espulsi Giorgio Ferrini e Mario David) e costretti a giocare gran parte del match in nove… e il goal del 2-0 finale fu proprio di Jorge Toro. Eppure, della spedizione facevano parte autentici fuoriclasse, come Omar Sivori, José Altafini, Gianni Rivera e Bruno Mora.

Le aspettative, al suo arrivo a Genova, erano molto alte… nel paese andino, Toro era una colonna della “Roja”, il capitano, in occasione della “finalina” (vinta con la Jugoslavia) per il terzo posto… un titolare inamovibile della squadra allenata da Fernando Riera.

Lo stesso gli capita, in Italia, nelle prime 7 partite di campionato (di cui ci dice meraviglie il vecchio tifoso: “il suo lancio lungo, a raggiungere in corsa i vari Brighenti, Toschi o Da Silva, sembrava quello di Luisito Suarez”), ma dopo l’infortunio in quel Sampdoria-Milan (che lo vede segnare il 2 a 1 della vittoria), resta fermo ai box per un mese e poi, complice forse anche il cambio di mister da Roberto Lerici a Ernst Ocwirk e la concorrenza del virgulto Giuseppe Tamborini, inizia il difficile travaglio del cileno con i colori blucerchiati… solo 8 le altre presenze (con 2 goal su rigore a Lanerossi Vicenza e Modena), prima della sua ultima apparizione con la maglia del Doria, a Mantova, nel maggio ’63… una sconfitta e … capitolo chiuso… via libera per il passaggio ai canarini modenesi, dove resterà fino al ’71, con una breve parentesi intermedia a Verona.

Foto sbiadita, dunque… ma non in Cile, dove la sua nomea, è ingigantita dal fatto di essere stato “el primer chileno en ser transferido al fútbol italiano, antes que Hugo Rubio, Zamorano, Salas, Pizarro, Vidal, Isla, Mati Fernandez, Pinilla, Medel”.

Esordiente, già a 19 anni nel Colo-Colo: “Un volante derecho, un creador de juego”… seppur a rete ci sapesse andare, infatti, oltre che all’Italia, segnò anche al Brasile nella semifinale, persa 4-2, tanto che lo ricordano come “el mítico Jorge Toro, uno de los mejores fútbolistas de la historia del Chile… un talento puro, exquisita técnica, disfrutó más de ser un habilitador y creador de fútbol”.

Appena ventenne, disputò la “partita perfetta”, contro il Santos di Pelé,O Rei”, arrivato in Cile, nell’aprile 1959, a sfidare il Colo-Colo, dopo una tournée di 18 incontri senza sconfitte in Europa e Centro America.

Uno stadio pieno vide Jorge Toro segnare tre goal ai “brasileros”, battuti 6-2… una performance che tutt’ora la stampa cilena esalta, intervistandolo: “Hice tres goles, ¿pero sabes?, no quedé satisfecho con mi actuación. Claro, anoté tres, pero no jugué tan bien como la gente recuerda. Quien sí jugó muy bien fue Mario Moreno Burgos, apodado Superclase”.

Ed in effetti, quel giorno, “cincuenta mil personas fueron a ver Pelé y terminaron aplaudiendo a Moreno e Jorge Toro”.

Una curiosità per finire: il suo “apodo” (soprannome) in Cile era “Chino”… quindi la Sampdoria quell’anno acquistò in Sudamerica “China (Da Silva) e “Chino” (Toro)…

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