Storie blucerchiate

“Album dei ricordi blucerchiati”: Ernst Ocwirk, il faro del Prater

Centromediano metodista della "Wunderteam" austriaca, al suo fianco si poteva giocare anche bendati

Genova. Quante volte, da ragazzino, davanti al bar Nardin di Arenzano, là dove si giocava “la schedina” del Totocalcio, alla ricerca del “13” milionario, davanti al tabellone, che per primo riportava i risultati della domenica (ragion per cui luogo di ritrovo di tifosi e scommettitori), ho sentito tessere le lodi di Ernst Ocwirk, che pur da tempo aveva appeso le scarpe al chiodo…

Immancabili i paragoni “a perdere” per chi aveva l’ingrato compito di giocare nel suo ruolo, indossando la maglia n. 8… a partire da Vujadin Boskov, ma identica sorte toccherà al cileno Jorge Toro e all’italo-argentino Francisco Ramon Lojacono, ancorché quest’ultimo con caratteristiche più offensive.

Il parlare di calcio, al bar, in quei tempi, ha dato vita alle trasmissioni Tv, in cui gli “urlatori”, oggi, la fanno da padrone… il football chiacchierato era vissuto con enfasi… quel crocchio, che controllava i punti racimolati in schedina, era la fotografia esplicativa di una passione crescente… si parlava con iperboli dei giocatori di Genoa e Sampdoria, gli uni più forti degli altri, in dipendenza del tifo…

Ernst Ocwirk era ancora sulla bocca di tutti… e a un romano, trapiantato in Liguria, i doriani ricordavano spesso il suo ultimo goal in blucerchiato, in un Sampdoria-Roma del maggio ’61, a firmare la rivincita (con identico risultato di 3-2) sulla squadra giallorossa, guidata da campioni del calibro di Ghiggia e Schiaffino, che – nel gennaio precedente – si era imposta con “il goal dello zoppo”… eh, già ! Era un calcio senza sostituzioni e pur di non restare in inferiorità numerica, l’infortunato di turno veniva piazzato all’ala sinistra… E’ quello che capitò a Giacomo Losi, che – con uno strappo all’inguine – riuscì a segnare, di testa su calcio d’angolo, la rete della vittoria, a pochi minuti dal termine, diventando per sempre “er core de Roma”… ma Ocwirk e Cucchiaroni, quest’ultimo con una doppietta, nella gara di ritorno, avevano saldato il conto…

“L’importanza di chiamarsi Ernesto”… viene da pensare, prendendo spunto dalla commedia teatrale di Oscar Wilde, per esaltare i due “doriani” con lo stesso nome di battesimo…

“Ossi” (nomignolo affettuoso, ma anche più facile da pronunciare), quando – nell’estate del ’56 – arrivò a Genova, grazie ad un’intuizione dell’allenatore Lajos Czeizler ed alla munificenza del presidente Alberto Ravano, era il centromediano metodista – prototipo della allora famosa scuola danubiana – del “Wunderteam”, la nazionale austriaca (terza ai Mondiali in Svizzera del ’54, anche grazie a un suo goal nella “finalina” contro l’Uruguay)… e aveva anche fatto parte, con lo stesso Boskov e Giampiero Boniperti, di una rappresentativa dei migliori giocatori europei… insomma, un vero “top player”, come si direbbe oggi. Ma era soprattutto un leader, come si intuisce da una vecchia intervista a “Martello” Giovanni Delfino (una vita alla Samp), che lo definisce “il più forte giocatore con il quale abbia mai giocato, vicino a lui si poteva giocare anche bendati“…

Un Graeme Souness “ante litteram”, che – piazzato davanti alla difesa – faceva girare la squadra (come un direttore d’orchestra è solito guidare i suoi musicisti), dettando le scelte dinamiche e la velocità di gioco e facendo sembrare facili anche le cose difficili… un asso, il “genio del Prater di Vienna”, un cavaliere mitteleuropeo, sceso al di qua delle Alpi a dare lezioni di eleganza e stile (calcistico), oltre che di sostanza, visto che al suo esordio, all’Appiani di Padova, contribuisce alla larga vittoria (6-2) con una rete segnata dopo pochi secondi dal fischio d’inizio.

Ne farà tanti di goal… pur non essendo quello il suo compito primario… 11 il primo anno, 37 in 154 partite nel quinquennio genovese, con una media di uno ogni quattro match… difficile trovare esempi simili, limitandosi al ruolo di regista… Prima un idolo per i tifosi dell’Austria Vienna e poi un mito per quelli della Sampdoria… molti di quelli che lo hanno visto giocare gli assegnano ancor oggi una maglia da titolare nel “top 11” di tutti i tempi.

Inspiegabile la rinuncia a tale campione nell’estate del ’61, dopo il “più bel campionato” della storia del Doria, prima che Vialli, Mancini & company vincessero lo scudetto…

L’eta ? (35 anni)… il cambio di presidente ? (da Ravano a Lolli Ghetti)… … presunti dissapori con l’allenatore Monzeglio ?

Sicuramente fu sbagliata la scelta dei sostituti, due jugoslavi più giovani, sì, di 4 o 5 anni (Todor Veselinović, più punta e Vujadin Boskov, che solo da allenatore entrerà di diritto nella storia della Samp), ma con riserve di energie, che nell’arco del campionato risulteranno inferiori a quelle del pur anziano “Ossi”.

Lo richiameranno da allenatore, nel novembre del ’62 e tra i meriti da ascrivergli, v’è da evidenziare che ebbe la lungimiranza di vedere, in Mario Frustalupi, il suo possibile erede e che riuscì a racimolare due salvezze (abbastanza tranquilla la prima, grazie a 13 goal di José Ricardo “China” Da Silva), molto sofferta la seconda, anche per lo scarso apporto del neo acquiso Maryan Wisniewski, ritenuto uno dei più rappresentativi giocatori francesi dell’epoca (spareggio col Modena, risolto da “Paolone” Barison e dal giovanissimo Giancarlo Salvi). Va meno bene il terzo anno, quando a fine gennaio arriva l’esonero, complice una serie di risultati non rispondenti alle aspettative maturate nei primi sei turni (4 vittorie e 2 pareggi) e la convinzione che i nomi dei giocatori in rosa (Sormani e Lojacono fra gli altri) valessero più della coesione di gruppo… impossibile da ottenersi, quando ogni calcio di punizione a favore, al limite area, scatenava una rissa fra i cinque attaccanti, che ne reclamavano la battuta…

A fine anno, comunque, sotto la guida di Pinella Baldini, arriverà un’altra risicata salvezza… ma “tanto va la gatta al lardo, che ci lascia lo zampino”… il campionato successivo, nonostante l’arrivo a novembre di un’icona come Fulvio Bernardini, c’è la caduta in Serie B… l’inizio di un periodo chiaro-scuro, che solo l’avvento di Paolo Mantovani, trasformerà in “rinascimento”.

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