Numero 10

Album dei ricordi blucerchiati”: Luisito Suárez, “El arquitecto” dei primi anni ‘70

Vinse il Pallone d'oro nel 1960

Luis Suarez

Genova.  9 gennaio 1972, la mia “prima” a Milano, non solo a San Siro… la grande tettoia in ferro e vetro, che ricopre i ventiquattro binari della stazione, mi sembra immensa… figurarsi lo Stadio Meazza, anche se gli “anelli” sono solo due…

Tutta l’elisse di quello superiore è riservata ai biglietti di “gradinata”, quindi mi sistemo sopra la tribuna centrale, quasi a strapiombo sul terreno di gioco e con una visuale splendida, mi accingo a vedere un Inter-Sampdoria, che passerà alla storia…

Apre le danze Loris Boni, che ubriaca il nazionale Bertini prima di spedire il cuoio all’incrocio dei pali difesi da Bordon, poi è un’alternanza di emozioni incredibili, con goal di Boninsegna (tre volte) e Corso, cui fanno da contraltare i difensori doriani Santin e Lippi, finché, a pochi minuti dalla fine, dopo due rigori dati all’Inter, l’arbitro Lattanzi ne decreta uno a favore del Doria, per un mani in area di Facchetti…

Stringo pugni e denti, mentre il numero 10 blucerchiato prende la palla e la sistema sul dischetto… la ragazzina, che mi ha aspettato a Milano, s’accorge della tensione che mi attanaglia e mi dice “ma quello è Luisito Suárez, il grande ex, stai tranquillo… è come se fosse già 4-4”… detto e fatto, portiere da una parte, pallone dall’altra…

Ha quasi 37 anni, ma “la classe non è acqua” e il galiziano Luis Suárez Miramontes ne è intriso, tanto che la mette subito in mostra da teenager nel Deportivo La Coruna, richiamando l’attenzione dei “blaugrana” del Barcellona, dove cresce all’ombra del mitico László Kubala, fino a diventare il più grande regista del calcio europeo, con tanto di assegnazione del “Pallone d’oro” di France Football nel 1960, primo spagnolo ad aggiudicarselo.

Ricco di cotanto blasone, segue l’anno dopo il “mago” Helenio Herrera all’Inter (che per fargli spazio libera l’idolo nerazzurro Angelillo, uno degli “angeli dalla faccia sporca” con Sivori e Maschio), con una mossa indovinata, che darà il via alla “grande” Inter (3 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Intercontinentali)… “catenaccio” di Burgnich, Picchi e Guarneri, lancio millimetrico di 50 metri di Suárez a pescare Jair o Mazzola e così … è nato il “contropiede” !

Nell’estate del ’70, ancorché richiesto dal Cagliari di Scopigno, fresco campione d’Italia e quindi con la prospettiva di giocare ancora in Coppa dei Campioni, Suárez (che Alfredo Di Stefano aveva soprannominato “El arquitecto”) sceglie di vestire il blucerchiato e lo indossa tanto bene, che torna persino a rivestire, a 37 anni, la ”camiseta roja” delle “furie rosse” spagnole, in una sfida a Salonicco contro la Grecia.

Insomma un indiscusso campione, un numero 10 atipico per gli anni ‘60/70… un direttore d’orchestra, dotato di classe cristallina, intelligenza e visione di gioco, ma anche di una “garra” non nel repertorio dei suoi omologhi, che anche a Genova, a fianco altri buoni giocatori come Battara, Lodetti, Salvi, il “bisontino” Cristin e Rocco Fotia, ha regalato ai tifosi tre salvezze consecutive e a chi scrive il piacere di aver visto a San Siro l’ultimo goal di questo “fidalgo” galiziano.

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