Cronaca

A Genova l’ultimo saluto a Giovanni Ponta, il partigiano Gianni

funerale partigiano gianni

Genova. Fra le bandiere dell’Anpi la commozione ha riempito, come la folla, il tempio laico del cimitero di Staglieno per l’ultimo saluto a Giovanni Ponta “il partigiano Gianni” vicepresidente provinciale dell’Anpi scomparso sabato scorso. A ricordarlo con il presidente provinciale dell’Anpi Massimo Bisca anche, fra gli altri, l’ex commissario della Provincia Piero Fossati, il consigliere metropolitano Arnaldo Buscaglia, l’assessore comunale di Genova Anna Dagnino, il presidente dell’Ilsrec Mino Ronzitti.

Classe 1926, Giovanni Ponta era entrato a 17 anni nella Resistenza che Luigi Marsano gli fece conoscere mentre lavorava alle Riparazioni navali. E in una latteria di via Madre di Dio Ponta conobbe e frequentò fra gli altri Andrea Scanu, Giacomo Buranello e Walter Fillak. Il partigiano “Gianni”, partecipò a molte azioni guidate da loro e solo grazie all’avvertimento di una donna che li conosceva un giorno riuscirono a salvarsi da un agguato teso dai fascisti intorno alla latteria per catturarli.

Da via Madre di Dio dovettero così darsi alla macchia e continuare la lotta in montagna. Così, nel gennaio 1944 sotto la neve, iniziò il cammino di Ponta verso i valichi e i boschi dell’Appennino. Con Walter Fillak e pochi altri, salendo da Voltri e scontrandosi subito con tedeschi e repubblichini che assalirono la cascina dove si erano rifugiati. Salvatisi da quello scontro dopo una sparatoria restarono in montagna e il partigiano “Gianni” fu tra i primi a far parte della III Brigata della Liguria alle Capanne di Marcarolo con Rino Mandoli, Goffredo Villa, Ettore Tosi, Vladimiro Diodati e altre grandi figure della Resistenza.

Il bando Graziani che obbligava all’arruolamento nelle forze repubblichine e puniva con la morte chi non obbediva spinse molti altri giovani antifascisti in montagna. La Brigata Liguria crebbe così sino a più di ottocento uomini, in dieci distaccamenti. Nella tenaglia del pesantissimo rastrellamento nazifascista delle truppe di Engel, concluso da un terribile eccidio di partigiani alla Benedicta il 7 aprile 1944 c’era anche il gruppo di Ponta che copriva, per ordine del comando, la retroguardia per permettere al suo distaccamento di sganciarsi dal nemico.Rimasero però circondati e solo eliminando una sentinella e scendendo con mille cautele dai canaloni riuscirono a sottrarsi al rastrellamento.

Poi finalmente venne un altro aprile: quello del 1945, con la resa del generale Meinhold, comandante delle truppe tedesche firmata a Villa Migone al presidente del CLN Remo Scappini. Le brigate di montagna erano scese in città per aiutare Gap e Sap nell’insurrezione finale che liberò Genova e il suo territorio. E a scortare i prigionieri tedeschi quel 25 aprile c’era anche Giovanni Ponta.

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