Genova. L’ora della morte, il comportamento di Katerina Mathas la notte tra il 15 e il 16 marzo 2010 “in realtà sono soggetti a interpretazioni alternative e non sono dunque idonei ad affermare la colpevolezza dell’imputata”. E’ quanto scrivono i giudici della corte d’assise di Genova nelle 70 pagine di motivazioni della sentenza dello scorso maggio che ha assolto la Mathas per l’omicidio del figlio, il piccolo Alessandro di 8 mesi, condannandola a quattro anni invece per il reato di abbandono.
I giudici hanno fondato la convinzione dell’innocenza della donna soprattutto basandosi sui risultati delle perizie che attestano che l’omicidio sarebbe avvenuto non prima delle 00.10 e non dopo l’1.30, lasso di tempo in cui la donna era in giro per la città in cerca di cocaina. Tale arco di tempo è stato calcolato in base allo svuotamento dello stomaco del bambino e
calcolando, in base alle testimonianze, l’ora in cui sarebbe stato somministrato l’ultimo pasto.
Non solo. I giudici ritengono che la donna non si sia accorta del fatto che il figlio fosse morto perché “la Mathas – si legge nelle motivazioni – quella notte era disinteressata al figlio essendo concentrata sulla necessità di soddisfare il proprio bisogno di droga. E’ verosimile che la donna abbia dato una sommaria occhiata al bimbo rassicurata dal fatto di averlo
trovato nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato”.