Cronaca

Carige, l’armadio “segreto” del Centro fiduciario: Cipollina e Grosso “traditi” dai dipendenti

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Genova. All’interno degli uffici del Centro fiduciario di Banca Carige in via XX Settembre c’era una cassettiera metallica con la dicitura ‘operazioni da regolarizzare’ che conteneva cartelline e faldoni con i nomi dei ‘fiducianti’ per i quali erano state ostacolate le attività di vigilanza da parte degli ispettori della Banca d’Italia.

Il nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza ha scoperto l’esistenza di questo armadio segreto solo il 29 luglio, cioè nove giorni dopo aver arrestato per riciclaggio e ostacolo all’attività di vigilanza il direttore del centro Antonio Cipollina, il suo vice Gianmarco Grosso e il procuratore Marcello Senarega. Dopo la prima perquisizione contestuale agli arresti, sono infatti due funzionari del centro, che lavoravano a stretto contatto con Cipollina e Grosso a segnalarne l’esistenza ai finanzieri. Lo scrive il Tribunale del Riesame di Genova che ha rigettato per Grosso la richiesta di attenuazione della misura cautelare. Grosso resta quindi ai domiciliari, come il suo ex capo Antonio Cipollina, per un “rilevante pericolo di recidiva specifica”.

“I due dipendenti – spiegano i giudici del riesame – hanno dichiarato che la targhetta metallica ‘operazioni da regolarizzare’, che non era sull’armadio quando lo stesso conteneva le pratiche, era stata scritta da Gianmarco Grosso”. Secondo gli investigatori, che hanno raccolto anche decine di intercettazioni telefoniche e ambientali, Grosso avrebbero occultato i documenti per nasconderli agli ispettori dell’unità di informazione finanziaria di Bankitalia anche nel caveau dell’agenzia 6 di Banca Carige.

Tra le pratiche nascoste agli ispettori, quella più rilevante riguarda i 13 milioni di euro che Giovanni Berneschi fece rientrare dalla Svizzera attraverso lo scudo fiscale facendoli intestare attraverso il centro fiduciario della ‘sua’ banca alla moglie Umberta Rotondo e alla nuora Francesca Amisano. Per i giudici “Grosso non può certo giustificarsi con il fatto che Rotondo e ammirano erano legate a Berneschi, come se ciò potesse esimere da qualsiasi accertamento circa un deposito di 13 milioni da parte di due persone la cui capacità contributiva era evidentemente sconosciuta da Grosso che non si preoccupò di accertarla”.

A comprova della partecipazione dddl vicedirettore all’attività illecita i giudici del riesame citano diverse intercettazioni. Tra queste la telefonata di Cipollina a Berneschi del 2 ottobre 2013 in cui il direttore rassicura Berneschi sul fatto che i documenti relativi ai 13 milioni siano stati messi dal sicuro fuori dal Centro fiduciario “Sì li metto lì… nel nostro cavea all’agenzia 6. Cè un ripostiglio dove al limite… se mi viene un coccoloni a me e a Grosso, sanno dove andarli a prendere. Mando Grosso. Grazie signor Berneschi, grazie molte”.

Qualche giorno prima, il 25 settembre, in un’intercettazione già nota, Cipollina aveva rassicurato Berneschi sul fatto di non aver fatto parola con gli ispettori, che in quei giorni stavano esaminando le pratiche del centro fiduciario, sui milioni intestati a moglie e nuora: “No assolutamente hanno provato a chiedere più volte se […] Sì e noi non abbiamo ovviamente detto nulla. […] Sulle due signore siamo stati molto chiari, non abbiamo detto nulla, abbiamo semplicemente detto che queste somme provenivano da un intermediario nazionale. Punto”.

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