Genova. Uno dei primi a uscire è stato S.L. per il quale ieri si sono aperte la porte del carcere di Pontedecimo, dove era detenuto per due violenze sessuali (con un anno ancora da scontare) ma con lui tra ieri e oggi il Tribunale di Genova ha dovuto “liberare” una settantina di detenuti e molti altri ne seguiranno. Un decreto legge entrato in vigore il 28 giugno rivoluziona infatti le regole della custodia cautelare.
D’ora in poi i giudici non potranno più tenere in carcere in attesa di condanna definitiva gli imputati per cui si prevede una pena finale uguale o inferiore a tre anni, neppure se plurirecidivi o giudicati socialmente pericolosi.
La norma è contenuta nel decreto legge numero 92 (che dovrà essere convertito in legge entro due mesi), ennesimo tentativo di risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e sfuggire alle pesanti sanzioni minacciate all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il decreto prevede anche una riduzione di pena di un giorno ogni dieci per i detenuti che si sono trovati a scontare la condanna in condizioni di sovraffollamento, sconto che si aggiunge alla liberazione anticipata portata da 45 a 75 giorni a semestre da una legge del 2013 .
Quello che sta provocando le maggiori perplessità tra i tecnici e giuristi è l’automatismo della legge,che non dà margini di discrezionalità al giudice, come commenta il prof. Francesco Viganò dell’università di Milano: “Il risultato pratico di questa novità legislativa è quello di impedire il soddisfacimento di qualsiasi esigenza cautelare, anche la più pressante, a fronte di conclamate situazioni di inadeguatezza degli arresti domiciliari, rispetto ad imputati di reati di notevole allarme sociale, le cui pene tuttavia raramente superano, in concreto, i tre anni di reclusione: dai furti in abitazione alle piccole rapine, allo stalking e ai maltrattamenti in famiglia, nonché – per passare a reati tipici dei colletti bianchi alla corruzione per l’esercizio delle funzioni o all’illecito finanziamento ai partiti. Con l’impossibilità, per di più, per il giudice procedente di disporre la custodia cautelare in carcere nemmeno in caso di trasgressione degli obblighi inerenti alla misura in concreto applicata”.
Un esempio pratico e molto comune: tizio viene arrestato per furto in appartamento, viene processato per direttissima e condannato a una pena intorno ai due anni. Se venisse ribeccato nel giro di poco normalmente il giudice opterebbe per la custodia cautelare in carcere, ma da oggi non più, anche se venisse arrestato “x” volte, essendo con molta probabilità condannato a una pena inferiore ai tre anni tra una condanna e l’altra sarebbe libero di commettere altri furti. Lo stesso vale anche per le piccole rapine, lo stalking e anche per le violenze sessuali negli episodi meno gravi.
Perplessi anche i pubblici ministeri e i giudici del tribunale genovese, anche se nessuno è ancora in grado di valutare i numeri esatti delle scarcerazioni che riguardano appunto i detenuti in attesa di sentenza definitiva (oltre la metà); secondo le prime stime potrebbero essere dal 10 al 20% del totale. Di sicuro c’è che a Genova nei corridoi della Corte d’appello e del Tribunale stanno arrivando carrelli pieni di istanze di scarcerazione.