Cronaca

Claudio Scajola in carcere a Regina Coeli. La Dia sequestra pc e smartphone nella villa e nell’ufficio dell’ex ministro

Liguria. Un blitz scattato intorno alle 9,30 e durato alcune ore. Si è ormai conclusa la perquisizione dell’ufficio di Claudio Scajola e della sua villa in via Diano Calderina ad Imperia, da parte degli uomini della Dia, dopo l’arresto di questa mattina in un noto albergo di Roma con l’accusa di aver tentato di agevolare la fuga del latitante Amedeo Matacena. Roberta Sacco, segretaria di Scajola, ha accompagnato alcuni uomini dell’Antimafia nei locali del primo piano nell’ufficio dell’ex ministro in via Matteotti a Imperia, già presidiato da alcune ore da agenti in borghese. Contemporaneamente è iniziata la perquisizione anche di Villa Ninina.

All’interno della villa gli agenti dell’antimafia hanno sequestrato computer fissi e portatili, tablet, alcuni smartphone e documentazione cartacea relativa a alcune società riconducibili all’inchiesta su Amedeo Matacena. Ad assistere alla perquisizione della villa di via Diano Calderina dell’ex ministro è stata la moglie Maria Tersa Verda, in lacrime, e l’avvocato di Scajola, Mangia. Anche nell’ufficio di Scajola sono stati sequestrati computer e documenti.

Claudio Scajola intanto, dopo le formalità di rito per l’arresto, che si sono svolte nella sede operativa della Direzione investigativa antimafia a Roma, è stato trasferito nel carcere di Regina Coeli. “L’onorevole Scajola è sereno, fiducioso nell’operato della magistratura e certo che la sua estraneità ai fatti contestati verrà pienamente accertata anche
questa volta”, hanno dichiarato i legali dell’ex ministro, gli avvocati Giorgio Perroni ed Elisabetta Busuito, che hanno poi chiesto alla stampa “di affrontare questa vicenda con professionalità e cautela, evitando sommari processi mediatici”.

Claudio Scajola è accusato di aver aiutato Amedeo Matacena, imprenditore reggino ed ex parlamentare, condannato a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, a sottrarsi alla cattura. Nello specifico lo avrebbe assistito nel suo tentativo di lasciare Dubai, dove Matacena è arrivato dopo essere fuggito dall’Italia e aver girato alcuni altri Paesi.
Negli Emirati Arabi Uniti l’imprenditore era stato arrestato dalla polizia locale al suo arrivo all’aeroporto di Dubai, su segnalazione delle autorità italiane. Pochi giorni dopo, però, Matacena è tornato in libertà in quanto non è stata completata la procedura di estradizione in Italia: la giurisdizione degli Emirati Arabi, dove non esiste il reato di criminalità organizzata e con i quali l’Italia non ha accordi bilaterali, prevede che i cittadini stranieri in attesa di estradizione non possano essere privati della libertà oltre un certo limite di tempo.

Matacena non poteva però lasciare il Paese arabo in quanto privato del passaporto: ed è in questa fase, secondo l’accusa, che sarebbe intervenuto Scajola, il quale avrebbe cercato di aiutare Matacena a trasferirsi in Libano, dove sarebbe stato al sicuro. L’ex ministro, secondo quanto scrive il giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria, Olga Tarzia, nell’ordinanza che ha portato in carcere l’ex ministro ed altre sette persone, era completamente “asservito” alle necessita’ di Chiara Rizzo, moglie di Amedeo Matacena: si cita in particolare una telefonata tra i due il 12 dicembre del 2013, in cui Scajola chiama la Rizzo e la “conversazione riguarda lo spostamento – sostiene il gip – di denaro da un conto corrente all’altro. Si denota l’asservimento totale dello Scajola alle necessità della Rizzo”. Nel corso del tempo ci sono stati “spostamenti di somme di denaro – aggiunge il giudice – per garantire la latitanza del Matacena, attivita’ dirette a rendere attuabile il pianificato spostamento del Matacena dall’Emirato di Dubai alla Repubblica del Libano, luogo individuato da Scajola sfruttando le proprie relazioni personali”.

“L’aspetto che colpisce tutti è che una persona che ha ricoperto posizioni di vertice e di responsabilità nello Stato possa occuparsi di un condannato per mafia fuggito all’estero per non espiare pena”, è il commento del procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. “Quasi che una condanna per mafia – ha aggiunto – non significhi nulla per chi gli è a fianco e lo sostiene. Ma la legge è uguale per tutti e la Procura ha un precetto cui non verrà mai meno, l’obbligatorietà dell’azione penale. Non ci sono intoccabili”.
L’operazione che ha portato all’arresto dell’ex ministro Claudio Scajola rientra nell’indagine “Breakfast”, che da più di due anni vede impegnata la Dia di Reggio Calabria nella ricerca dei reinvestimenti di capitali illeciti, movimentati dalla ‘ndrangheta in Italia ed all’estero. I provvedimenti complessivamente eseguiti stamattina sono otto: tra gli arrestati, figurano persone ritenute legate al noto imprenditore reggino. Oltre a Scajola, la madre dell’imprenditore reggino, Raffaella De Carolis, e la moglie Chiara Rizzo, sono coinvolti Martino Politi, Antonio Chillemi e la segretaria di Scajola, Roberta Sacco. Gli indagati sono accusati a vario titolo di aver, con la loro interposizione, agevolato Matacena ad occultare la reale titolarità e disponibilità dei suoi beni, nonché di aver favorito la latitanza all’estero di quest’ultimo.

La Dia nel frattempo sta eseguendo numerose perquisizioni in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Calabria e Sicilia, oltre a sequestri di società commerciali italiane, collegate a società estere, per un valore di circa 50 milioni di euro.

Foto da Riviera24.it

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