Economia

Piaggio Aero, la lettera dei lavoratori genovesi: “Non siamo un prodotto, ma un insieme di cuori pulsanti”

corteo piaggio aero

Genova. Un documento amaro e colmo di preoccupazione. E’ la lettera aperta che i lavoratori genovesi di Piaggio Aero hanno voluto inviare alla Presidenza del Consiglio, ai ministeri della Difesa, Industria e Sviluppo Economico, Lavoro e Politiche Sociali; alla Regione Liguria e ai comuni di Genova, Savona, Imperia, Finale Ligure e Villanova d’Albenga; al Vaticano e al cardinale Bagnasco; alla Tata Limited, alla Mubadala Development Company, all’a.d. Galassi, a Banca Intesa Sanpaolo, Rai, Tg5, Primocanale, Telenord, Telegenova, Secolo XIX, Ivg e Ansa.

Temono che il loro appello cada nel vuoto, perso tra tante situazioni simili, ma non mollano. Siamo uomini, dicono, abbiamo famiglia e figli, responsabilità: e non vogliamo essere “sacrificati” in un piano di salvataggio che pensi solo al denaro. “La Piaggio non è un prodotto – ricordano – la Piaggio non è un pezzo di alluminio, la Piaggio non è un congegno meccanico volante, la Piaggio è un insieme di anime e di cuori pulsanti, un insieme di famiglie, un insieme di bambini che mangiano e che giocano con i propri balocchi, e che percorrono la ripida strada del proprio futuro, ignari dell’incubo che è li, immobile, ad attenderli”.
Tra le righe emerge la preoccupazione che l’acquisizione di Mubadala nasconda un interesse unicamente per il drone MPA, e che i lavoratori siano “di troppo”: e nel mondo di oggi, dicono i lavoratori, “perdere il lavoro è come essere gettati nella tana delle tigri, completamente disarmati”. Sconcerto suscitano anche la sensazione che all’azienda interessi di più l’operazione edilizia di Finale, o l’atteggiamento tenuto nei confronti dei clienti che, a sentire i lavoratori, sarebbe stato “deleterio nei confronti di molti clienti, per indurli talvolta a desistere dall’acquisto dei nostri prodotti” di un’azienda che solo nel 2009 ha registrato un picco di produzione.

Di seguito il testo integrale della lettera.
“Con la presente lettera noi, lavoratori dell’azienda Piaggio Aero Industries di Genova, intendiamo attrarre la Vs. rispettabile attenzione sul grave problema che si affaccia oggi alle porte delle nostre vite. Comprendiamo molto bene come, sotto la triste luce delle problematiche che affliggono il nostro sciagurato paese, il tentativo che ci proponiamo in questa sede rientri nel novero della mera attualità e che quindi non contenga elementi peculiari che possano garantirgli di ricevere una particolare attenzione, che invece merita a buon diritto. Tuttavia ciò non ci induce a desistere dal contemplare il nostro tentativo di comunicare, di far ascoltare le nostre voci, le nostre grida di allarme, perché nulla possa lasciarsi di intentato, di fronte ad una situazione così delicata, che oggi sembra volgere al peggio.
Noi, lavoratori della Piaggio Aero Industries, non siamo soltanto dipendenti di un’azienda. Noi siamo uomini: esseri umani che hanno una vita, una famiglia, dei figli. Noi siamo persone che hanno delle responsabilità, che hanno dei diritti, dei doveri e che vivono le proprie vite nel modo più onesto, osservando non soltanto le leggi dello Stato, ma che hanno una morale, un’etica cristiana, grazie alla quale la società in cui viviamo può definirsi civile. Quest’ultima, tuttavia, vede il progressivo disfacimento dei propri valori nel nome di una modernità che ne rimpiazza le regole sociali, per sostituirle con i modelli di potere propri della disciplina del capitalismo. Essa impernia la propria filosofia sul denaro, che rappresenta per noi uomini la fonte di sostentamento, ma che può trasformarsi improvvisamente nel nostro nemico più letale.
Alla luce di quanto sopra noi, dipendenti della P.A.I. di Genova, intendiamo lanciare il nostro grido di allarme, prima che il denaro si possa trasformare, un domani quanto mai imminente, nel nostro angelo della morte. Affermare questo non è un’esagerazione, no, perchè perdendo il nostro posto di lavoro perderemo la nostra fonte di denaro e molti di noi non saranno più in grado di nutrire e proteggere le loro famiglie. Essi non potranno fronteggiare, infatti, le richieste economiche di un mondo che ci identifica soltanto in qualità di meri codici alfanumerici paganti.
Oggi la nostra azienda annuncia il proprio piano industriale, che definisce subdolamente come “piano di salvataggio”. Essa, utilizzando questa parola può dissimulare le proprie vere intenzioni di fronte ad un’opinione pubblica ormai assuefatta ai continui disastri sociali che la nostra società attuale vede quotidianamente accadere nel mondo del lavoro, nel profondo del cuore di se stessa.
Il retroscena presente nel suddetto “piano di salvataggio” contiene esclusivamente effetti collaterali, che ricadranno su noi dipendenti, gravando sul nostro futuro e su quello delle nostre famiglie e dei nostri figli. Nel bugiardino di questa amara medicina che l’azienda intende farci ingerire forzatamente, sotto la voce “effetti collaterali”, c’è scritto chiusura dello stabilimento di Genova, esuberi, licenziamenti, esternalizzazioni, trasferimenti. Mentre sotto la voce “sovradosaggio” è specificato a chiare lettere che non esiste antidoto.
Perdere il lavoro nel mondo attuale è come essere gettati nella tana delle tigri, completamente disarmati. Ma quali sono le motivazioni che spingono l’azienda P.A.I. a contemplare un simile provvedimento, così drastico e drammatico per noi e per le nostre famiglie?
Non entreremo con la presente nel dettaglio degli sviluppi dell’azionariato, ma possiamo sinteti-camente mettere in evidenza come la società di investimento Mubadala di Abu Dhabi abbia avuto, fino dal suo primo ingresso nell’azienda, un’unica finalità: garantirsi la possibilità di acquisire il progetto e di produrre il velivolo MPA. Questo consiste in un aeromobile a controllo remoto (drone), il quale ha una vasta gamma di possibili utilizzi, dal semplice pattugliamento all’impiego bellico, situandosi in quest’ultimo caso nel novero dei bombardieri d’alta quota ad ampio raggio d’azione. Mubadala acquisisce lentamente il 41% delle azioni di P.A.I.. Attualmente il 44% dell’azionariato è detenuto dalla società Tata Limited, la quale, secondo le notizie in nostro possesso, sarebbe pronta a cedere le proprie quote proprio a favore del gruppo Mubadala. Si prospetta così uno scenario azionistico che vede quest’ultimo acquistare la quasi totalità della nostra Piaggio, determinando come conseguenza il drastico precipitare nelle nostre possibilità di impedire che il nostro futuro lavorativo possa svanire dinanzi ai nostri occhi.
La parte italiana dell’azionariato della Piaggio aveva adocchiato da anni un ambizioso obiettivo: investire il proprio capitale nella speculazione edilizia, proprio nel sito dove oggi è presente lo stabilimento industriale Piaggio di Finale Ligure. I piani dell’azienda prevedono, infatti, il trasferimento di quest’ultima in un nuovo sito, a Villanova d’Albenga, dove è in corso la realizzazione di una nuova installazione industriale, ubicata proprio accanto al relativo aeroporto.
Il problema si pone in quanto l’azienda, a Dicembre del 2013, ha dichiarato la propria intenzione di chiudere definitivamente lo stabilimento industriale Piaggio di Genova Sestri Ponente, dove lavorano circa 550 dipendenti, e di mietervi vittime con centinaia di esuberi, esternalizzazioni, e di cedere parti dell’azienda ad incognite società esterne.
Nell’anno 2008 i vertici della Piaggio avevano sottoscritto e firmato un piano industriale che assicurava la permanenza dello stabilimento di Genova.
Cosa è accaduto nel frattempo, ad un’azienda che proprio nel 2009 aveva avuto un picco di produzione di velivoli di 28 unità in 12 mesi? La crisi economica mondiale?
Ci risulta invece che l’azienda abbia preferito contemplare un progetto finanziario, a discapito di finalità prettamente industriali e produttive. Abbiamo infatti appreso come l’atteggiamento dei nostri datori di lavoro sia stato deleterio nei confronti di molti clienti, per indurli talvolta a desistere dall’acquisto dei nostri prodotti. Gli utili finanziari dell’azienda venivano nel contempo preservati da una cassa integrazione richiesta a scopo di ristrutturazione, ai danni dello Stato Italiano, il quale veniva così predato di risorse economiche utili ad attività imprenditoriali che ne avrebbero avuto reale bisogno. Questa situazione è perdurata fino ad oggi, giorno nel quale la Piaggio ha scoperto le proprie carte, gettando presuntuosamente sul tavolo il prodotto deforme della propria disumana deiezione.
Noi ci domandiamo quale sia la legislazione che consenta loro di disattendere quanto hanno firmato nel 2008.
Noi ci domandiamo il perché, a questa azienda, sia stato concesso di osservare una politica così infima, subdola e lesiva nei confronti di terzi, sia dipendenti di se stessa, che addirittura nei confronti dello Stato Italiano che la ospita. La Piaggio è stata acquistata astutamente in saldo, a spese dello Stato.
Noi ci domandiamo come sia possibile che, un’azienda come la nostra, che è attualmente impegnata nella costruzione di velivoli militari senza pilota possa cadere nelle mani di un azionariato come quello attuale, e come quello che si prospetta nell’imminenza, con tutte le sue potenziali implicazioni, anche nello scenario internazionale.
Noi ci chiediamo come sia possibile che un’azienda come la nostra, che opera nella produzione aeronautica in modo autonomo da 130 anni, adesso possa subire l’effetto di una bomba al proprio interno, e che possa disperdersi nel nulla. Questo nulla è rappresentato dalla completa assenza di un piano industriale, dall’assenza di prospettive industriali e produttive, che possano garantire almeno una parvenza di futuro per noi dipendenti, e per le nostre famiglie.
Attualmente il territorio genovese è interessato da una letale epidemia che colpisce la nostra industria per ucciderla, ed ovunque volgiamo i nostri sguardi, vediamo movimenti di cortei, striscioni di protesta e persone che, con le loro famiglie, non riescono più a vedere il proprio prossimo futuro.
La Piaggio non è un prodotto, la Piaggio non è un pezzo di alluminio, la Piaggio non è un congegno meccanico volante, la Piaggio è un insieme di anime e di cuori pulsanti, un insieme di famiglie, un insieme di bambini che mangiano e che giocano con i propri balocchi, e che percorrono la ripida strada del proprio futuro, ignari dell’incubo che è li, immobile, ad attenderli.
Noi, lavoratori della P.A.I. di Genova chiediamo:
A Voi, a chiunque di Voi che possa essere in grado di fare qualcosa, di impedire che il piano di “naufragio” presentato dall’azienda possa concretizzarsi.
Chiediamo che vengano annullati tutti gli esuberi dichiarati dall’azienda, perché sarà impossibile altrimenti, ritornare a produrre decine di velivoli all’anno come in precedenza.
Chiediamo l’intervento di chi sia in grado di determinare gli sviluppi dell’azionariato dell’azienda, per fornire ad essa la giusta protezione che merita, come ogni azienda la cui produzione rientra in campo militare, oltre che civile.
Chiediamo che venga introdotta una cassa integrazione, al fine di preservare le nostre famiglie durante un augurato periodo di futura riorganizzazione, che interesserà forma e sostanza di questa azienda.
Noi chiediamo che le regole morali, che abbiamo menzionato in precedenza, possano trovare un parallelismo con le leggi giuridiche di questo Stato, già così minato da criminali di ogni tipo e forma e che la magistratura possa intervenire ed indagare approfonditamente in modo sistemico nella recente storia dell’azienda, fino ad oggi, perché riteniamo che chi attenti alle nostre famiglie debba essere perseguito a norma di legge.
Noi riteniamo ingiusto, che il gruppo dirigenziale della nostra azienda si spartisca una grande torta in denaro come ricompensa se l’operazione di distruzione della stessa con i suoi dipendenti verrà portata a termine, perché così facendo andrà ancora a piovere sul bagnato, e si arricchirà ancora chi è già ricco, a discapito di operai ed impiegati e delle loro famiglie, che dovranno sfamare se stessi e i propri figli, e che dovranno passare le notti con l’incubo del mostro di una banca, con la quale hanno contratto il mutuo della propria casa, e che sarà loro pignorata senza alcuna pietà.
Siamo sempre e comunque in un paese che si definisce civile e cristiano, ma in queste cose, di civile e di cristiano, non riusciamo a trovare la minima traccia.
Noi siamo qui, a suonare un campanello d’allarme per noi, per il nostro lavoro, che oggi si sta trasformando sempre più in un’immagine evanescente. Ci permettiamo inoltre di estendere un allarme che sta ormai suonando a tutta forza da tempo, e che è stanca di suonare al vento, per tutti quei lavoratori che versano nelle nostre condizioni, perché oggi le nostre e le loro energie sono convogliate per alimentare un unico grido di aiuto, ma che domani, potrebbero sfociare irreversibilmente in un fiume travolgente di disperazione collettiva.
Siamo ancora in tempo per fare qualcosa, tutti insieme.
Vi chiediamo di ascoltarci, adesso.

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