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Pallanuoto, Simone Rigalza: un genovese in Montenegro al fianco di Ranko Perovic

Rigalza e Perovic

Bogliasco. A cinquanta giorni dai campionati mondiali di Barcellona si torna là con i ricordi e le emozioni dell’unico italiano presente alla Picornell per la finale: Ungheria contro Montenegro e Simone Rigalza. Seduto sulla panchina, secondo di Ranko Perovic, genovese di Albaro, consulente della Rari Nantes Bogliasco, da anni si divide tra Italia e Montenegro.

Simone cominciamo dalla finale. “E’ quella che abbiamo visto tutti, la fine di un percorso, non abbiamo messo il sigillo, non abbiamo giocato come le partite precedenti ma può succedere, ci sta, non abbiamo espresso la nostra migliore pallanuoto ed è giusto perdere. E’ stato un cammino entusiasmante, il raccolto di due mesi di preparazione e questa è la più grande soddisfazione. I ragazzi hanno fatto ciò che dovevano fare, ci hanno messo un grande impegno, un grande cuore, si sono divertiti a giocare nelle situazioni difficili, è stato molto bello”.

Avete avuto coraggio, che sia per il rinnovo generazionale o per altro, vi siete presentati ai Mondiali di Barcellona con una formazione rivista e corretta. “Sono state fatte scelte forti ed importanti, a detta del mister doverose, ci siamo schierati tutti dalla sua parte, abbiamo creduto nel suo progetto, nella sua squadra fatta di giovani anche con poca esperienza, ed ecco i risultati”.

Il secondo posto, colpa e merito vostro. “Forse è meglio fare i complimenti all’Ungheria. Noi sappiamo cosa abbiamo sbagliato, e usciamo senza rammarichi. Il Montenegro è un paese di 500.000 abitanti ed arrivare a giocare una finale mondiale non è impresa da poco. Accettiamo la sconfitta ed è più giusto pensare che sia stato merito loro. Siamo convinti di poter fare meglio anche se siamo l’unica Nazionale, negli ultimi anni, ad essere arrivata tra World League, Europei, Mondiali, Olimpiadi, sempre in semifinale”.

Da quando Simone Rigalza è seduto su quella panchina? “Da quando c’è questo staff, io faccio parte di questo gruppo, unito, coach e atleti”.

Torniamo a questa finale, unico italiano alla Picornell ma quasi nullo il riscontro mediatico, eppure dovrebbe essere un orgoglio. “Non è mai stato menzionato il mio nome, dovrebbe essere un diritto di cronaca, bisognerebbe chiederlo ai giornalisti, non mi dispiace, chi mi deve vedere lo fa, ma in Italia evidentemente sono oscurato”.

La cronaca è raccontare i fatti. “Non voglio essere polemico ma è stata una mancanza, gli addetti ai lavori mi conoscono, ma la mia famiglia, i miei amici, si rammaricano e mi chiedono il perché, domanda da rivolgere a chi era in dovere di farlo e non l’ha fatto”.

Che ci fa un genovese in Montenegro? “Lavoro anche in Italia, non ultima la collaborazione con la Rari Nantes Bogliasco, lo dimostra; ma forse ho più riscontro al’estero e non so perché. Il mio nome qui non si pronuncia mai”.

Torniamo a parlare di pallanuoto, che livello hai visto? “E’ stato un Mondiale di transizione, ho visto partite dinamiche e più veloci ma non tutte le nazionali sono riuscite ad esprimere il loro massimo potenziale. Tanti cambiamenti e forse poco tempo per provare. Ho visto facce nuove contro pochi veterani, questo mi è piaciuto molto. Un’edizione con poco pubblico rispetto al potenziale ma bene organizzato”.

Il Settebello? “Mi è dispiaciuto vedere lo scarso sostegno che gli azzurri hanno ricevuto nonostante un ottimo risultato, una squadra che da almeno sei stagioni è sempre lì, non molla mai. Una mancata medaglia non autorizza ad indirizzare critiche e polemiche ad un gruppo che ha sempre dato tantissimo”.

E il Setterosa? “Sembra che si sia inceppato qualcosa, è troppo facile aspettare le partite e dichiarare che qualcosa non funziona, non conosco lo staff e non voglio parlare, mi sembra che il materiale giusto ci sia, forse c’è bisogno di un sostegno maggiore”.

Il tema del rinnovamento, arriva anche da noi, il dibattito è aperto. “Se hai un’idea la devi realizzare, bisogna provare, osare, mai affidarsi al passato, sia nei modelli di gioco sia per la scelta degli atleti”.

Un’estate bellissima per le nazionali giovanili, c’è materiale. “Eccome. Mi sono reso conto che i giovani hanno bisogno di essere seguiti, incalzati, e non è vero che questa generazione sportiva sta seguendo quella che vediamo in strada. Sono ragazzi giusti che ne hanno una grande voglia: sta a noi allenatori riuscire a tirare fuori da loro il meglio. L’allenatore deve sempre avere gli occhi aperti e fare quello che è giusto per l’atleta, non quello che vuole l’atleta. Portarlo in strade che non vuole percorrere, forzarlo anche, ma stare sempre attento alle sue reazioni soprattutto emotive. Fissare il punto di arrivo ma non restare legati ad un programma rigido, noi non portiamo mai a termine un allenamento per come lo abbiamo pensato. Il cambiamento migliora”.

Alcol, sesso, droga, tutto insieme, tutto in maniera precoce, in che cosa stiamo mancando? “Troppe parole, possiamo aiutare i nostri ragazzi solo con l’esempio. Sicurezza, ordine, attenzione, non solo in vasca, anche per come si imbocca la via di casa”.

Le nuove regole? “La pallanuoto ne ha bisogno, abbiamo bisogno di essere più comprensibili, non so se queste siano quelle giuste. C’è comunque un impegno per rinnovare ma manca ancora il confronto. Immagino una riunione con gli allenatori e gli atleti più rappresentativi, da tutto il mondo, è da loro che devono arrivare le nuove proposte”.

In nazionale cosa fai esattamente? “Seguo gli atleti dalla A alla Z, resta libera la P di palla che è competenza del tecnico. Abbiamo programmi alimentari, di recupero, seguo anche la parte osteopatica in collaborazione con il medico federale”.

La dedica dell’argento mondiale. “Al Montengro, ha creduto in me, mi ha dato tempo e disponibilità, ed è arrivato un grande risultato da condividere con il popolo montenegrino”.

Il futuro? “Ancora con loro fino a Rio 2016”.

E che l’Italia si accorga di te. “E’mancato solo il giusto riconoscimento di cronaca, ma sto bene dove sono”.

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