Genova. Dalla Diaz a Finmeccanica, passando per i servizi segreti e vari incarichi governativi. Gianni De Gennaro, 65 anni, originario di Reggio Calabria, è da sempre uomo di Stato. Una lunga carriera nella polizia, con diverse promozioni per “meriti straordinari”, la collaborazione con Giovanni Falcone, la direzione della Dia (Direzione investigativa antimafia) nel 1993 e la nomina a prefetto nel 1994, vice capo della Polizia, direttore centrale della Criminalpol. Un’ascesa inarrestabile, quella di De Gennaro, che il 26 maggio 2000 viene nominato dal Consiglio dei ministri capo della Polizia italiana.
Nel 2001 arriva il G8, ma in quelle drammatiche giornate De Gennaro a Genova non mette mai piede. Muove le sue pedine da Roma, grazie ai suoi uomini più fidati, a cominciare dal prefetto Arnaldo La Barbera, che sbarca a Genova il giorno successivo alla morte di Carlo Giuliani assumendo il comando di tutte le forze di polizia ed esautorando di fatto l’allora vice capo della polizia Ansoino Andreassi. Poche ore dopo è la notte della Diaz, più nota come la notte della “macelleria messicana”. De Gennaro ne esce pulito, a Genova appunto non c’è, ma sono i “suoi uomini” che vanno a processo.
Poi a un certo punto, anche il “superpoliziotto” rischia di cadere, grazie all’ex questore di Genova Francesco Colucci che testimonia il falso durante il processo Diaz e da alcune intercettazioni sembra emergere che il “capo”, cioè De Gennaro, lo avrebbe invitato a ritrattare alcune dichiarazioni riguardo l’arrivo alla Diaz del capo ufficio stampa della Polizia Roberto Sgalla. De Gennaro va a processo per induzione alla falsa testimonianza: assolto in primo grado viene condannato in appello, e poi assolto in via definitiva in Cassazione perché secondo i giudici della Suprema Corte “è destituito da ogni profilo di pertinenza” rispetto al processo Diaz “chi abbia disposto l’invio alla Diaz del dottor Sgalla”. Colucci in primo grado è stato condannato invece a 2 anni e 2 mesi.
Diversa la valutazione sull’arrivo di Sgalla fatta dalla sentenza di appello per i fatti della Diaz, emessa il 18 maggio 2010 e confermata dalla Cassazione, che fa riferimento proprio a De Gennaro (che ovviamente non era imputato): “L’ipotesi della presenza di armi all’interno della Diaz era scarsamente probabile, ma non potendosi escludere del tutto, è stata assunta a giustificazione della perquisizione, al fine di procedere agli arresti, sollecitati dal capo della polizia”.
E ancora: “La priorità seguita in quel momento era la tutela dell’immagine compromessa della Polizia, tutela operabile con una speculare immagine di efficienza, cioè la rappresentazione pubblica dell’arresto di numerose persone […]. E questo è il motivo per cui venne convocato l’addetto stampa Sgalla ancora prima di sapere l’esito della operazione”.
Il nome di De Gennaro resta stampato qua e là nelle carte dei processi, ma dal punto di vista penale resta un uomo senza macchia, che continua la sua irresistibile ascesa. Il 2 luglio 2007 lascia il ruolo di capo della polizia al suo vice Antonio Manganelli e diventa capo di gabinetto del Ministero dell’Interno. Nel 2008 riveste anche l’incarico di Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania.
Nel maggio 2008 viene nominato dal Comitato Interministeriale per la sicurezza della Repubblica Direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza e l’11 maggio 2012 è nominato, dal consiglio dei ministri presieduto da Mario Monti, sottosegretario di Stato delegato per la sicurezza della Repubblica.
Dopo la sentenza di condanna da parte della Cassazione per 25 funzionari di polizia per i fatti della scuola Diaz, De Gennaro, allora sottosegretario, aveva dichiarato in una nota di rispettare la sentenza, ma aveva anche espresso “affetto e umana solidarietà per quei funzionari di cui personalmente conosco il valore professionale e che tanto hanno contribuito ai successi dello Stato democratico nella lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata”.