Genova. “Né ricatto, né minaccia. Ma un atto dovuto e necessario”. Così il sindaco Marco Doria ha respinto le nuove proteste dei lavoratori del Carlo Felice arrivati anche oggi a Tursi sulle note dell’Inno di Italia. Interrotto il consiglio, il sindaco ha convocato una conferenza stampa in concomitanza con la riunione dei capigruppo spiegando che “la procedura di mobilità avviata potrà essere interrotta dal raggiungimento di un accordo utile per il contenimento dei costi, necessario all’esistenza stessa del Teatro”.
Nessun “balletto”, ha detto Doria rispondendo alle critiche sull’avvio delle procedure di mobilità per 48 lavoratori e l’appello di ieri a riprendere l’accordo del soprintende Pacor, quasi fossero una prova di forza dell’amministrazione.
“Era un atto necessario dopo mesi di trattativa – ha spiegato il sindaco – con un accordo firmato ma non sottoposto a referendum, e con una maggioranza relativa che invece lo voleva fare”. Il riferimento è all’ultima assemblea in cui “83 lavoratori su 275 hanno deciso per il rinvio del referendum a settembre – ha sottolineato Doria – di contro io ho una lettera con 95 firme che invece lo chiedevano, ma questo non è un problema mio”.
“Da amministratore sarei un irresponsabile totale se ritenessi realistica la possibilità che il Fus aumenti – ha sottolineato riferendosi alla motivazione del rinvio – E siccome invece la ritengo irrealistica, sono stato costretto ad assumere decisioni. Non ci sono balletti, la procedura di mobilità è lunga e prevede un confronto. L’unica cosa che invece non era possibile fare era stare appesi a un filo. Da parte di questa amministrazione, come scritto nell’accordo e nel bilancio, c’è l’intento di erogare contributi al Carlo Felice e l’impegno da valutare con il consiglio un ulteriore patrimonializzazione per conferire immobili al teatro”.
Da un lato i conti, con i 19 milioni di entrate nelle casse del Carlo Felice ” di cui circa 15 di contributi pubblici” e i costi che senza accordi ammonterebbero a 23 milioni circa. “E’ inutile prendersi in giro, ammettendo che uno rilanci l’attività del teatro, e per assurdo aumenti i ricavi da spettacolo del 20% in un momento di contrazione della spesa degli italiani, i conti non sarebbero comunque in equilibrio”.
Ecco perché “Non era tollerabile rinviare a settembre, lasciando che il problema si aggravasse”. Dall’altro lato, oggi la nuova protesta con tanto di inno sugli spalti dell’Aula Rossa e il consiglio sospeso. “Rispetto le posizioni di tutti – ha stigmatizzato Doria – ma non rappresentano tutti i lavoratori. Si tratta di una parte, un sindacato che non ha sottoscritto l’accordo. Sono venuti in consiglio, hanno interrotto i lavori quando si parlava di Tares e di approvare delibere che tengono in piedi un sistema. L’assemblea elettiva è ostacolata nel suo lavoro e l’interruzione dei lavori è un fatto grave”.
Visibilmente contrariato dall’ennesimo stop ai lavori, nella settimana più difficile per la giunta e per il sindaco stesso contestato su più fronti dalle diverse rappresentanze dei lavoratori (in primis la parziale privatizzazione delle partecipate e l’aumento dell’Imu), Doria ha ribadito ancora come questo bilancio “tenga in piedi la città a prezzo di sacrifici”, l’unico modo “perché il sistema possa reggere”. Incalzato poi sugli scricchiolii in maggioranza e sul pressing del Pd, ha negato qualsiasi pressione, in particolare sulla contestata delibera in materia di partecipate. “Faccio solo le cose che ritengo giuste”, ha detto tranchant.