Genova. In calo del 5% il numero degli artigiani liguri under 40. È quanto emerge dall’ultima indagine dell’Ufficio studi di Confartigianato. Infatti, tra
il 2011 e il 2012 il numero delle imprese di giovani artigiani è sceso in Liguria di 922 aziende, passando dalle 18.563 del 2001 alle 17.641 del 2012.
E pensare che ancora nel 2010, la Liguria era seconda solo alla Provincia
autonoma di Trento per tasso di artigianato giovanile che rappresentava
oltre il 10% del totale delle imprese del comparto. Oggi, invece, la Liguria è scesa all’11° posto su scala nazionale e i giovani che riescono a tenere aperta la propria “bottega” sono appena il 3%.
Guardando i dati storici, tra il 2008 e il 2012, la diminuzione dei giovani artigiani che fanno impresa nella nostra regione è stata dell’11,8%, con un saldo negativo di 2.354 imprese, passando dalle quasi 20 mila (19.995 per l’esattezza) del 2008 alle 17.641 del 2012.
A livello provinciale, tra il 2011 e il 2012, è a Genova che si è registrato il numero maggiore di chiusure di imprese guidate da giovani (-369), seguita da Savona (-270), dalla Spezia (-191) e infine da Imperia (-92).
“Sono dati molto allarmanti che confermano la crisi profonda dell’occupazione giovanile della nostra regione – spiega Giancarlo Grasso, presidente di Confartigianato Liguria – È evidente che le aziende gestite da giovani abbiano risentito in maniera pesante del perdurare della crisi. La minore strutturazione delle imprese, dovuta a una “storia” aziendale recente, e le difficoltà di accesso al credito hanno spazzato via una consistente fetta della nuova generazione. Questo, purtroppo, comporta conseguenze negative anche sulla possibilità del ricambio generazionale, specie in comparti dell’artigianato tipico tradizionale”.
L’Italia, sebbene sia al primo posto in Europa come numero di imprenditori
e lavoratori autonomi sul totale degli occupati (circa il 20%), resta in bassa classifica (73esimo posto tra i Paesi avanzati secondo la Banca Mondiale) per contesto favorevole alle imprese.
“La burocrazia e l’inefficienza di numerosi processi di interazione con la Pa – spiega Grasso – sono tra i fattori che rendono il nostro Paese un contesto “nemico” delle imprese. Ad esempio: per tutelare un contratto stipulato, in media, un imprenditore italiano impiega oltre 1.200 giorni cioè più di 2 anni. La media dei Paesi Ocse, invece, è di circa un terzo, poco più di 400 giorni. È evidente, da questi dati, come, nel perdurare della situazione di crisi attuale, anche le imprese giovanili siano schiacciate da una parte dalla diminuzione dei carichi di lavoro e dall’altra dalle difficoltà di vedere onorati i propri contratti. Occorre quindi mettere in campo, al più presto, una serie di misure di
semplificazione e di interventi che sostengano le imprese avviate da giovani e di promozione della trasmissione generazionale delle attività, specie nei settori più tradizionali che costituiscono un’eccellenza del made in Italy”.