Questa settimana autogestisco. Fermo le lezioni e non perché non ho voglia di studiare. Lo faccio perché sento il bisogno, in quanto studente, di dimostrare che questa scuola non è quella giusta, quella in cui si ci forma per la vita. Ho la responsabilità, come cittadino di oggi e di domani, di schierarmi: non posso fingere che vada tutto bene e disinteressarmi della situazione.
Forse l’autogestione non sarà la migliore e la più efficace delle forme di protesta, ma è un’azione concreta, che ha visibilità all’esterno e forma gli studenti, quindi agisce partendo dall’interno. Voglio costruirmi una cultura che non sia fatta solo di nozioni, ma di esperienze e partecipazione. Per questo durante questa settimana ascolto persone che provengono da mondi diversi, tutti con un’idea, una storia che mi arricchisce. Cose che la scuola non può offrire, specie se continuano a tagliarle i fondi. Non può formare persone complete se non ha la possibilità di finanziare progetti, di comprare materiali, di pagare corsi extra.
Dovremmo crescere e formarci in contesti aperti e invece le nostre scuole sono edifici grigi, il sistema è sempre più ottuso, fatto di prove uguali per tutti che non puntano a stimolare e valorizzare il singolo.La scuola è un servizio, dal quale non si trae alcun guadagno immediato, la tentazione di tagliare su questa parte della spesa pubblica nei momenti di crisi è sempre forte, ma se al potere c’è un governo fatto di tecnici e non di gente qualsiasi, è perché sono loro quelli che dovrebbero essere in grado di rinunciare alle scelte facili per cercare soluzioni più complesse, diverse. Non posso giustificare che ancora una volta si tolgano fondi al futuro. Non posso credere che se ci sono alcuni insegnanti che lavorano poco, l’unica soluzione sia farli lavorare tutti di più. Nel nostro paese la cultura è considerata un ambito di nicchia, una cosa piccola, con la quale “non si mangia”, eppure è proprio quella a fare di ogni persona ciò che è.