Genova. Confesercenti e Ascom, tramite una lettera congiunta al Comune di Genova, chiedono che venga garantita la riduzione di almeno 1 punto di aliquota sui beni strumentali delle imprese, così da poter rispettare in maniera inequivocabile il principio della prevalenza del lavoro e dell’impresa sulla rendita, così da dare un aiuto tangibile, misurabile alle microattività del nostro tessuto imprenditoriale.
“Partiamo da un dato – si legge nella letterea – l’Imu è un tributo profondamente iniquo perché mette sullo stesso piano – in base al possesso di un immobile – situazioni che possono essere molto diverse dal punto di vista reddituale e patrimoniale (non considerando chi ha perso il lavoro o chiuso la propria impresa a seguito della crisi) e conseguentemente tutti i possibili correttivi in ambito locale sono comunque condizionati da questo “vizio di fondo”.
“Consideriamo inoltre che il Comune ha già fatto una scelta precisa in tema di sociale, ovvero confermare al prezzo di tagli, razionalizzazioni, risparmi, ecc…l’intera spesa storica del 2011 per i servizi sociali, garantendo così continuità operativa a tutte le fasce deboli in carico e che, di fatto, oggi l’Imu rappresenta ad oggi l’unica, esclusiva leva economica in mano al Comune di Genova per un sostegno concreto alle imprese, non avendo a disposizioni altri strumenti per le politiche di sviluppo” affermano Andrea Dameri, direttore Confesercenti Genova e Antonio Ferrarini, vicepresidente vicario Ascom Confcommercio.
Confesercenti e Ascom-Confcommercio ritengono che in questa precisa fase storica tutte le forze politiche debbano essere coerenti con le dichiarazioni che da tempo sentiamo ripetere: priorità al lavoro e allo sviluppo. In questo senso il fatto di garantire almeno un punto di riduzione dell’aliquota a negozi e botteghe (C01) e piccoli laboratori artigianali (C03) di proprietà delle imprese che in esse producono ricchezza, occupazione e quindi tenuta sociale deve essere considerato l’obiettivo minimo per tutela il tessuto economico più fragile, quello delle microimprese, quello che in sostanza coincide con l’autoimpiego.
Altre soluzioni risulterebbero puramente di facciata e non rispetto un principio che Confesercenti e Ascom-Confcommercio considerano irrinunciabile: la non equiparazione dell’impresa alla pura e semplice rendita.