Genova. Il fumo dei lacrimogeni e il rumore degli elicotteri, le vetrine infrante e le auto incendiate, le cariche della polizia in piazza Manin, in via Tolemaide, in corso Italia. E poi i blindati a tutta velocità, l’assalto al carcere di Marassi, gli scontri in piazza Alimonda e il tonfo sordo di un colpo di pistola.
Che cosa resta della storia di quei tre giorni del lontano luglio 2001? Prima delle violenze alla Diaz e in contemporanea a quello che accadeva dentro la caserma di Bolzaneto, c’è la storia di quella piazza immensa che fu il G8 di Genova, la storia di 300 mila persone, racchiusa in un processo che probabilmente vedrà domani la prima sezione della Corte di Cassazione confermare le condanne per 10 no global, accusati del reato di devastazione e saccheggio e che rischiano complessivamente quasi un secolo di carcere, sorta di caprio espiatorio di un movimento che, dopo quell’evento, andò in pezzi.
Gli imputati del processo, istruito a Genova dai pubblici ministeri Anna Canepa e Andrea Canciani, erano inizialmente 25. Durante le udienze del processo di primo grado gli avvocati difensori dei no global dimostrarono però che ben 15 di loro – quasi tutti appartenenti al corteo dei disobbedianti che venerdì 20 luglio sfilò dallo stadio Carlini a Via Tolemaide – avevano agito per legittima difesa dopo che il corteo senza ragione era stato caricato proprio in via Tolemaide, poco prima dell’incrocio con corso Torino. Per quattro funzionari tra carabinieri e polizia i giudici rinviarono anche gli atti in procura per falsa testimonianza. Fu dimostrato inoltre che molti dei carabinieri che caricarono il corteo delle “tute bianche” utilizzavano bastoni e spranghe di ferro camuffate al posto dei “tonfa” in dotazione.
Ne restano 10, che non facevano parte dei corteo dei disobbedienti, né del famigerato quando fantomatico blocco nero: “Non sono collegati tra loro – spiega Francesco Romeo, difensore di uno degli imputati – non si conoscevano, non facevano parte dei black-bloc e infatti non erano vestiti di nero, hanno agito singolarmente e in diverse zone della citta”.
Per loro le pene comminate dalla Corte d’appello di Genova, che ha confermato nel 2009 l’assoluzione per i disobbedienti, sono state pesantissime e vanno dai 7 ai 15 anni di reclusione. E se nessuno dei poliziotti responsabili del massacro della Diaz finirà in carcere nemmeno per un giorno, loro in carcere ci sono già stati (alcuni di loro hanno scontato un anno circa di custodia cautelare) e, se domani verrà confermata la pena, ci torneranno subito: “Se venisse confermato l’appello – dice Romeo, che ha difeso anche alcune parti civili nel processo Diaz – saremo al paradosso che la polizia, colpevole di aver brutalizzato decine di persone, non ha fatto un giorno di carcere mentre chi magari ha rotto una vetrina finisce in galera per dieci anni”.
A rappresentare la Procura della Cassazione sarà di nuovo Pietro Gaeta, lo stesso magistrato che ha chiesto la conferma delle condanne per i vertici della polizia implicati nel pestaggio della Diaz. Tra i motivi di ricorso comuni a tutti gli imputati, “c’e’ quello della violazione del diritto di difesa perche’ delle 350 ore di filmati raccolti durante le indagini, ci e’ stato mostrato solo un video con immagini selezionate dalla pubblica accusa mentre abbiamo il diritto di visionare tutto ciò che e’ disponibile perche’ potrebbero esserci elementi utili al proscioglimento”.
“Sosterremo che non c’e’ stata ne’ devastazione né saccheggio – conclude Romeo – almeno non nel senso previsto dal codice penale che si riferisce a reati di rappresaglia dalle vaste dimensioni compiute durante gli eventi bellici e non contempla fatti limitati e modesti”.
Ad appoggiare le ragioni dei dieci no-global, ci sono anche le 25 mila firme raccolte tra intellettuali e artisti – tra i quali Erri de Luca e Margherita Hack – dalla campagna ’10×100′ che verranno depositate in Cassazione proprio venerdi’ mattina. In serata è attesa la sentenza.