Cronaca

Diffamarono Manuela Cappello, le motivazioni della condanna di Christian Abbondanza e Simonetta Castiglion

christian abbondanza

Genova. A distanza di più di 4 anni dalla querela per diffamazione, che la consigliera Manuela Cappello aveva fatto nei confronti di Christian Abbondanza e Simonetta Castiglion, il 1 febbraio 2012, il giudice Giuseppe Dagnino ha dichiarato i due imputati colpevoli del reato penale di diffamazione, di cui agli articoli 110, 595, I, II, III comma del codice penale, per uno degli articoli per cui era stata sporta querela (“uno sguardo più a valle…a San Gottardo”) e li ha per questo condannati, tra l’altro, al risarcimento dei danni arrecati a Manuela Cappello.

La richiesta del rinvio a giudizio, effettuato dal pubblico ministero Enrico Zucca, evidenziava: ” […] , perché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, agendo in concorso tra loro, …..….., affermando fatti non corrispondenti al vero o traendo negative implicazioni da fatti non integralmente esposti, utilizzando espressioni sarcastiche ed allusive, offendevano la reputazione di Manuela Cappello attribuendole comportamenti illeciti e/o poco trasparenti tenuti nei suoi incarichi istituzionali”.

Queste le motivazioni del giudice: “Dalle dichiarazioni della parte civile, oltre a essere state confermate dai testi […] si può ricavare la conferma dell’attendibilità delle dichiarazioni rese nel corso dell’esame dibattimentale da parte della Cappello” e ancora “evidente intento diffamatorio nei riguardi della parte civile […] . Nè ad attenuare la lesione della reputazione derivante da tali espressioni diffamatorie possono essere invocate l’ironia e la satira di cui tale articolo è permeato perché non può essere considerato lecito l’uso di ironie e di espressioni satiriche allorquando […] i fatti dai quali si prende spunto per fare ironie del tutto fuori luogo non corrispondono alla realtà e sono invece invenzioni di sana pianta per portare acqua al mulino della propria tesi preconcetta e non rispondente alla realtà dei fatti […]  non si ravvisano elementi per concedere ai giudicabili le attenuanti generiche”.

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