Genova. La sentenza di assoluzione per Giovanni Antonio Rasero, “non è un ribaltamento ma un ulteriore e determinante passo in avanti rispetto a una sentenza, quella di primo grado, che comunque non era negativa”, dal momento che Rasero fu condannato sì a 26 anni di carcere in primo grado per l’omicidio del piccolo Alessandro Mathas, ma in concorso di omicidio. “Il fatto che i giudici di primo grado avessero avuto possibilità di dire che lei non era esclusa dall’omicidio era già un passo avanti, bisognava farne un alto e lo abbiamo fatto con l’appello”.
L’avvocato difensore, Andrea Vernazza, in attesa della scarcerazione del suo assistito dall’istituto penitenziario di Marassi, ribadisce quanto sostenuto fin dall’inizio: “si trattava di un processo monco, e questa sentenza lo conferma: non si è mai indagato dall’altra parte”.
In altre parole secondo il difensore la pronuncia della corte d’appello d’assise “non è un ribaltamento rispetto alla sentenza di primo grado” ma la conferma che “dall’altra parte – quella della Mathas – non si è mai proceduto con le indagini”.
Rispetto alla questione del morso trovato sul piede del bimbo, Vernazza esclude che la madre abbia gettato il figlio contro il muro e che Rasero lo abbia morsicato come “pratica rianimatoria”.
Tornando a Rasero “sperava nell’assoluzione. Era fiducioso. Aveva detto di aver fatto un sacco di sciocchezze, ma di non aver mai fatto del male al bambino. La cocaina – ha concluso il legale – può rendere più reattivi, ma non fa aggredire”