Genova. “La cosa più grave è stata la mancanza di professionalità di chi stava sulle scialuppe”. Con la voce ancora angosciata, Ernesto Carusotti e la moglie Paola Falconi, hanno ripercorso oggi i drammatici momenti della sera di venerdì 13 gennaio quando la Costa Concordia si incagliò di fronte all’Isola del Giglio.
I due naufraghi scampati al terribile impatto fanno parte del primo gruppo di sei persone che hanno intentato la class action lanciata da Codacons, in appoggio agli studi americani Proner &Proner contro Costa Crociere e Carnival.
“Dopo l’impatto alle 20.45 siamo scesi alle 23.50 dalla nave, ma la cosa più grave, aldilà dell’assistenza che non c’è stata assolutamente a poppa, è stata la mancanza di professionalità di chi stava sulla scialuppa – ha rimarcato Carusotti – Dopo i segnali di allarme su quel ponte c’era una confusione totale, ci hanno fatti entrare nella scialuppa, in 150, l’addetto ha quindi cominciato ad abbassarla ma si è bloccata sul bordo della nave vista la pendenza, a quel punto con un ferro ha cercato di farla scendere ci ha anche fatto prendere i remi per forzare, naturalmente si sono rotti e allora è venuta l’idea – ha sottolineato – siamo scesi tutti e un altro addetto della Costa ci ha ordinato di andare dall’altra parte della nave”. Un passaggio difficile e pericoloso.
“Correre sulla superficie liscia, in pendenza e presi dalla paura è stato tremendo. Arrivati dove ci avevano indicato, con la nave a 4 metri dal fondo, abbiamo fatto un salto per salire sulla scialuppa e con il rischio di rimanere con la barca rovesciata, finalmente siamo partiti e arrivati a riva”.
Il vero problema è stato dunque l’incapacità di affrontare l’emergenza. “In queste navi deve esserci un personale adatto – ha detto Carusotti – non certo così come si è dimostrato”.
I coniugi, così come gran parte dei 4 mila passeggeri, hanno perso tutto: vestiti, gioielli, documenti e chiavi di casa. “Secondo la Costa Crociere dovrebbero bastare 11 mila euro, per i danni morali e patrimoniali, ma noi abbiamo rifiutato”.
La class action intentata a Miami chiede “alla corte americana di stabilire il risarcimento dei danni subiti in misura superiore ai 10 milioni di dollari, nonchè di voler accogliere il risarcimento dei danni punitivi per un importo di almeno 450 milioni di dollari”.