Genova. Lo aveva già dichiarato ad agosto, dalla sua pagina Facebook, ma con il ritorno dell’Ici, contenuta nella manovra Monti, Don Paolo Farinella ribadisce: per la sua parrocchia, san Torpete, proprietaria di sei appartamenti, ricavati nell’edificio storicamente parte della struttura della chiesa, paga l’Ici.
“Sì, pago l’Ici per gli appartamenti di pertinenza della parrocchia e come me tanti altri sacerdoti in tutta Italia – ha detto Don Farinella – Il problema sono le strutture di istituti religiosi che fanno attività alberghiera, turismo. Per loro bisognerebbe cancellare dalla legge quel maledetto avverbio, ‘non esclusivamente’, grazie al quale l’esenzione si applica alle attività di natura non esclusivamente commerciale”. Per il parroco “Serve una normativa precisa, bisogna essere drastici e le gerarchie ecclesiastiche dovrebbero esigere una norma trasparente”.
Ovvero: “La norma dovrebbe dire chiaramente che tutte le attività non inerenti al culto sono tassate secondo la legge vigente”.
Le case della parrocchia, che risale al 1100 e per questo è sotto il vincolo della Soprintendenza, sono date in affitto, con un canone che non supera i 200 euro e sono state ristrutturate con il concorso degli inquilini. “I rapporti amministrativi e con gli affittuari, compresa la riscossione degli affitti, sono gestiti da un’apposita cooperativa che cooperativa, la Cape, istituita dalla Curia, che fa un ottimo lavoro. Per quando riguarda l’Ici, ho dato mandato a un commercialista per i versamenti dovuti. Lo stesso hanno fatto altri sacerdoti qui a Genova come in tante parti d’Italia”.
Altra cosa sono “gli enti che fanno attività alberghiera e non pagano l’Ici perché c’é una cappella comunicante con le strutture ricettive”. Qui siamo nell’ambito di “situazioni a mio avviso scorrette – afferma il sacerdote – immorali da un punto di vista della dottrina della Chiesa e ingiuste sul piano fiscale. E c’é anche un profilo di concorrenza sleale rispetto ad analoghe attività in mano a privati. Solo le chiese, le canoniche e i locali in cui si svolge attività pastorale andrebbero esentati. E qui rientrano anche le attività svolte da tanti enti benefici, come la Caritas, che anzi svolgono anche un ruolo sociale suppletivo”.